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Crisi in vista? Sempre più paesi scelgono di rimpatriare il loro oro

L’aumento delle tensioni fra le varie fazioni politiche nell’Eurozona è stato il must che ha caratterizzato le relazioni interne al Vecchio Continente negli ultimi anni.

Il trend principale, che vede frammentazione dei poteri e spinte indipendentiste prevalere sulla coesione delle diverse realtà nazionali e regionali, ha ufficialmente trovato il suo punto di svolta nel 2016 col referendum sulla Brexit, voto col quale il popolo britannico si è espresso favorevolmente all’uscita del Regno Unito dall’Unione.

Inversione di tendenza che viene confermata dal rinnovato interesse che le banche centrali nazionali mostrano nei riguardi delle proprie riserve auree.

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Da quando l’oro non fa più parte del sistema monetario, viene dai più considerato alla stregua di uno strumento finanziario ed usato come strumento di protezione patrimoniale contro l’inflazione.

Tuttavia, in pochissimi fanno notare come l’oro effettivamente continui ad assolvere alla sua funzione originaria di moneta: se così non fosse infatti, le banche centrali nazionali non lo conserverebbero in così grandi quantità e non lo considererebbero come mezzo per regolare pagamenti interbancari.

Il ritorno di fiamma delle banche nazionali nei confronti dell’oro è testimoniato da due tendenze nelle loro politiche di gestione delle riserve auree:

  • il loro aumento, attraverso l’accumulo di lingotti;
  • il loro rimpatrio, riportando a casa i lingotti detenuti all’estero.

Vediamole più nel dettaglio.

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Chi accumula più oro?

Russia e Cina detengono da oramai 3 anni consecutivi lo scettro di accumulatori seriali di metallo giallo.

A partire dal 2015 entrambi i Paesi hanno iniziato ad acquistare ingenti quantità d’oro che li hanno portati a detenere tra le 1.800 e le 2.000 tonnellate di lingotti ciascuno, con la Federazione Russa stabilmente nella top 5 dei paesi produttori.

Le riserve russe, di cui si hanno molti più dati storici rispetto a quelle cinesi, hanno toccato il loro minimo assoluto in occasione della dissoluzione dell’URSS, quando nel 1991 nelle casse dell’Unione si contavano solo 290 tonnellate d’oro.

Il massimo assoluto, invece, risale a mezzo secolo prima (1941), quando nei forzieri di Mosca ne erano custodite ben 2.800 tonnellate. Mantenendo i ritmi di accumulo degli ultimi mesi, il Cremlino potrebbe stabilire un nuovo massimo storico nel giro dei prossimi 3 anni, issandosi sul gradino più basso del podio dei Paesi maggiori detentori d’oro da investimento alle spalle di Stati Uniti e Germania.

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Perché si detengono riserve auree all’estero?

Nel quantificare le riserve auree di un istituto finanziario, una iper-semplificazione in cui si cade spesso è il credere che esse siano interamente costituite da oro proprietario.

All’interno di queste riserve, infatti, sono sì conteggiati i lingotti di proprietà dell’istituto ma, senza far troppe distinzioni, lo sono anche tutti quelli conservati per conto di altri enti.

Tra questi enti vi possono essere istituti di credito, fondi d’investimento, privati cittadini dalle grandi disponibilità ma anche e soprattutto banche centrali.

Storicamente le banche centrali di ogni singola nazione, che al tempo dell’Unione Monetaria Europea vedono il loro ruolo sminuito a quello di semplici emittenti di moneta divisionale, hanno spesso dovuto misurarsi con due tipi di rischio:

  • Rischio Paese: guerre, default sul debito;
  • Rischio Politico: instabilità politica, colpi di stato.

Per poter gestire efficacemente questi rischi, una delle opzioni più economiche era quella di esportare una parte delle proprie riserve auree in un paese straniero preferibilmente stabile, ben armato e proprio fedele alleato.

E fu proprio per proteggersi dal rischio di vedere le proprie riserve auree depredate dagli ipotetici invasori comunisti che, durante la Guerra Fredda, la Germania Ovest trasferì oltreoceano – nella sezione newyorkese della FED – ben il 95% dei propri lingotti, e dove, nonostante il rimpatrio di 300 tonnellate conclusosi lo scorso anno, ancora giacciono 1.200 tonnellate d’oro tedesco.

Nel caso fossi interessato ad approfondire il travagliato viaggio dei lingotti tedeschi tra le due sponde dell’Atlantico, puoi saperne di più cliccando qui.

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La lista (sempre più lunga) di chi rimpatria il suo oro

A dirla tutta, non abbiamo citato la Germania a caso: perché fu proprio lei, contraddicendo la sua fama di strenua sostenitrice dell’euro, che diede inizio al walzer dei rimpatri nel 2013.

I motivi per cui una banca centrale voglia detenere oro o possa volerne il rimpatrio, li abbiamo chiariti in un nostro precedente articolo, ma vale la pena sottolineare che fu proprio dal momento in cui la Bundesbank chiarì le sue intenzioni sul rimpatrio dei suoi lingotti, che identiche richieste da parte di vari Stati europei cominciarono ad accumularsi e l’oro a defluire dalle casseforti di Londra e di New York.

Dopo la richiesta tedesca di rimpatrio nel 2014 è stata la volta di quella dei Paesi Bassi, decisi a farsi restituire 120 tonnellate d’oro, seguita poco dopo (2015) da quella austriaca, tuttora in fase di esecuzione: l’obiettivo della nazione alpina è quello di accrescere dal 20 al 50% le riserve auree detenute nel proprio territorio.

L’Ungheria è l’ultima, in ordine di tempo, ad essere riuscita a tornare in possesso del proprio oro: a fine marzo 2018 si parlava di 5 tonnellate, in viaggio verso Budapest.

E la notizia non ha neppure fatto in tempo ad essere ritrasmessa da un numero accettabile di agenzie, che in Belgio si è tornati nuovamente a parlare di necessità di rimpatriare i lingotti detenuti all’estero per motivi di sicurezza nazionale.

Come fa notare Claudio Grass, ambasciatore del Von Mises Institute, sono mosse più che prevedibili nel burrascoso mare politico ed economico in cui il Vecchio Continente sta navigando: dopo la Brexit, le rivolte catalane e le minacciate sanzioni di Trump [utilizzate probabilmente per fare pressione affinché l’Europa prendesse posizioni favorevoli a Washington su altri fronti] è naturale che il futuro si mostri incerto.

Ed ancor più perché:

<<…Il nostro sistema monetario è basato per il 7% su denaro contante e per il 93% su moneta digitale: semplici cifre sugli schermi dei nostri computer garantite solo da vacue promesse di restituzione da parte degli istituti bancari in cui le depositiamo.

E’ solo questione di tempo prima che l’euro, la più artificiale delle valute mai creata, collassi irrimediabilmente>>

conclude Grass.

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Stai per scoprire gli ingranaggi che muovono il mondo del denaro oggi. E come, e perché, l’oro ne è maledettamente collegato.

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3 risposte

  1. Però intanto Oro e Argento continuano nella loro fase di debolezza e non pare dimostrare realmente forza per portarsi su prezzi più alti, anzi, a tratti pare proprio vogliano portarsi verso nuovi minimi…
    Che delusione.

  2. Non per gufare, stamattina sembra debba scendere sotto i 1330 $ ; speriamo arrivi subito questo balzo sopra 1400 $ sembra una barriera così tanto improbabile da raggiungere. Eppure le notizie son vere ed i segnali ci sono tutti.

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