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L’oro ha aperto la settimana a $1.384,00 e ha chiuso a $1.387,40.
Al Comex di New York i contratti futures sull’oro per consegna agosto sono quotati a $1.393,00 per oncia.[/panel]
Il metallo giallo ha recuperato terreno giovedi’ e venerdi’ mattina grazie alla debolezza del dollaro e al calo dei mercati azionari nipponici. L’oro e’ sostenuto anche dallo stabile livello di acquisto fisico cinese. Le previsioni del World Gold Council sostengono che nel secondo trimestre di quest’anno la domanda di oro fisico in Asia raggiungera’ un nuovo record.
Il WCG prevede inoltre che in India le importazioni di oro toccheranno le 350 – 400 tonnellate metriche, il 200% in piu’ dell’anno 2012.
Dopo mesi di flessione, a fine maggio sono tornati gli acquisti di oro da parte del piu’ grande fondo ETF garantito da metallo giallo: lo SPDR Gold Trust.
Nel mese di maggio le quotazioni dei metalli preziosi sono rimaste deboli. L’oro e’ calato del 4,4%, l’argento del 7%, il platino del 2,6%; per converso il palladio guadagna il 6,6%.
In un report interno del mercato dell’oro e argento londinese (LBMA – London Bullion Market Association) si evince che le basse quotazioni del mese di aprile hanno favorito gli acquisti di preziosi. Alla piattaforma del LBMA i volumi in acquisto di oro nel mese di aprile sono balzati ai massimi da 20 mesi a questa parte; quelli dell’argento fisico sono balzati del 25%.
Sempre secondo il report del LBMA, la media giornaliera di oro fisico venduto presso la piattaforma londinese ha raggiunto in aprile una cifra pari a 24 milioni e 100.000 once, il massimo da agosto 2011 quando l’oro tocco’ il massimo del suo valore ($1.921,00 per oncia).
In marzo la media di oro fisico venduto presso il LBMA raggiunse le 21 milioni 800.000 once. I volumi in acquisto dell’argento in aprile sono stati pari a 165 milioni e 200.000 once, in rialzo rispetto ai 132 milioni e 500.000 once di marzo.
Le transazioni giornaliere in oro fisico, sempre presso il LBMA, in aprile hanno raggiunto il record di 5.395.
Una curiosita’
il Rand Sudafricano ha perso il 7,7% del suo valore contro il metallo giallo questa settimana. L’inflazione in Sud Africa sta alzando la testa: e’ arrivata al 6,1% e la Reserve Bank of South Africa e’ una delle poche banche centrali che non e’ stata in grado di ridurre i tassi d’interesse.
Ricordiamo che da inizio del 2013 in soli 5 mesi sono state 15 le banche centrali che hanno ridotto i tassi tra le quali la BCE, la Banca d’Israele, quella di Serbia, Vietnam, Polonia, Sri Lanka, Kenya, India, Australia e Corea del Sud.
L’oro ha superato la soglia psicologica dei $1.400,00 venerdi mattina, per ripiegare nel pomeriggio sul dato positivo dell’indice dei direttori d’acquisto di Chicago che è risultato pari a maggio a 58,7, ben sopra le attese che convergevano su 50. Ciò ha innescato dei realizzi in una seduta cominciata ancora sotto il segno degli acquisti.
La settimana finanziaria e’ stata contrassegnata da un ulteriore forte ribasso dell’indice giapponese Nikkei. Lunedi’ l’indice e’ scivolato del 3,22%, ha rimbalzato in settimana ed e’ ritornato a scendere fortemente giovedi’; – 5,15% in una sola seduta.
I dubbi sul timore che il rally degli indici giapponesi (anche l’indice allargato Topix ha accusato forti flessioni) sia giunto ormai al capolinea aumentano.
L’indice Nikkei fino a settimana scorsa, quando si e’ verificato il primo squarcio del forte rialzo azionario (franando del 7.3%), era in salita dell’80% da novembre 2012, ovvero in meno di sette mesi ha messo a segno un guadagno spettacolare. Se analizzato per singoli settori il guadagno e’ di oltre il 100%.
Il Giappone dal punto di vista finanziario rappresenta una forte fonte di instabilita’ globale. La politica ultra-espansiva di Shinzo Abe e Haruhiko Kiroda presupponeva che i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi, decennali e trentennali, rimanessero schiacciati grazie agli acquisti della Bank of Japan.
Ma questo non sta avvenendo e il gioco rischia di sfuggire di mano. I rendimenti si stanno rialzando, anche repentinamente, nonostante gli interventi della BOJ. Questo ha spiazzato tutti.
Se i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi salissero ulteriormente, le banche e i fondi comuni d’investimento rischierebbero il collasso finanziario. Queste istituzioni hanno in portafoglio titoli di Stato pari al 160% del PIL: un crollo delle quotazioni e un rialzo dei rendimenti sfocerebbe in perdite colossali in conto capitale con il rischio di molteplici defaults a cui la Bank of Japan dovrebbe fare fronte con ulteriori ingenti iniezioni monetarie.
Turbolenze potrebbero essere in procinto di avviarsi anche sul fronte Statunitense. Il mercato dei Titoli di Stato USA (Treasuries Bonds) e’ in fase di bolla. In settimana il settore dei Treasuries e’ stato preso di mira dagli investitori e i sell-off hanno fatto rialzare i rendimenti al 2,23% anche se successivamente l’allarme e’ parzialmente rientrato.
Per quanto riguarda gli indici azionari Statunitensi? Approfondiamo la questione.
Vi ricordate i tre slogan che compaiono nel romanzo di fantascienza distopica di George Orwell, 1984?
Nello Stato immaginario di Ocenia il Partito dominante del Grande Fratello (Il Socing) aveva imposto la propria dottrina, condensabile in tre slogan: “l’ignoranza e’ forza, la guerra e’ pace, la liberta’ e’ schiavitu’.”
Lo slogan faceva parte del cosiddetto “bispensiero” che dominava in Oceania, ovvero un meccanismo psicologico utilizzato dal Partito del Grande Fratello per imporre la volonta’ di sostenere un concetto o un’idea e il suo opposto.
Ebbene i mercati finanziari americani e i media mainstream che ne costituiscono la grancassa vivono all’interno di un loro bispensiero, con tre slogan che potremmo coniare come segue:
“Se l’economia reale va a fondo i mercati finanziari salgono. Dati economici negativi sono accolti positivamente dalle Borse. Le notizie peggiori fanno addirittura da volano per la speculazione”.
Prendiamo alcuni esempi.
Dall’inizio dell’anno l’indice azionario S&P 500 e’ in rialzo del 17%. Dai risultati degli utili trimestrali del primo trimestre 2013 si ha l’impressione che l’andamento degli utili aziendali sia una variabile trascurabile a Wall Street.
La maggior crescita degli utili e’ avvenuta solo per i titoli finanziari (+10,8%); i restanti comparti sono in netto calo. Il comparto energetico e’ in calo del 4,3%; quello della salute del 3,5%; quello della tecnologia del 2,5%; quello dei titoli industriali dell’1,9%.
Gli utili dello S&P 500 crescono a livello trimestrale solo dell’1,5%, i ricavi di un insignificante 0,9%. Eppure da inizio anno l’indice rappresentativo delle maggiori aziende USA ha messo a segno un robusto rialzo del 17%.
E’ evidente che a Wall Street il parametro finanziario utilizzato per soppesare i valori azionari (il rapporto tra prezzo/utile, ovvero price/earning) e’ un parametro obsoleto. L’unica cosa che conta sono i flussi di liquidita’ (denaro facile) iniettato dalla FED nel sistema finanziario.
Se prendiamo in considerazione alcuni dati strutturali dell’economia USA, la schizofrenia dominante del “bispensiero” di Wall Street appare in tutto il suo clamore.
Nel 1980 il debito nazionale era di un solo trilione di dollari; oggi si avvicina a 17 trilioni di dollari. Durante il primo mandato di Obama il Governo USA ha accumulato piu’ debiti di quanto abbia fatto con i primi 42 Presidenti degli USA.
Ma andiamo oltre: il Debito nazionale USA e’ di 23 volte piu’ grande dalla Presidenza di Jimmy Carter in poi. Nel 1970 il debito totale degli USA (debito pubblico + debito aziendale + debito dei consumatori) era meno di 2 trilioni di dollari, oggi supera i 56 trilioni di dollari.
E ancora: secondo la Banca Mondiale il PIL degli USA rappresentava il 31,8% del PIL globale nel 2001; nel 2011 era sceso al 21,6%. Nel 2011 negli USA sono fallite ben 56.000 imprese. Ogni giorno chiudono 15 stabilimenti produttivi.
Nel 1985 il deficit commerciale con la Cina raggiungeva i 6 milioni di dollari, nel 2012 il deficit commerciale con il Paese del Dragone ha raggiunto i 315 miliardi di dollari. Ogni anno gli USA perdono mezzo milione di posti di lavoro a favore della Cina.
Nel 1950 piu’ dell80% di tutti gli uomini negli USA aveva un posto di lavoro; oggi meno del 65% ha un posto di lavoro e il 53% degli americani non raggiunge un reddito di nemmeno 30.000 dollari annui.
Wall Street e’ sostenuta solo dalle politiche espansionistiche della FED, le politiche del “denaro facile” (smart money).
Denaro facile che dal 2008 (anno della crisi Lehman) ha alimentato una serie di bolle una dietro l’altra:
1. la bolla dei titoli di Stato USA (Treasuries),
2. la nuova bolla dei titoli/cartolarizzazioni di mutui ipotecari (Mortgage Backed Securities),
3. la bolla dei titoli “spazzatura” ad alto rendimento (High Yield Junk Bonds),
4. e infine la bolla globale sui titoli azionari.
Come sostenevamo, Wall Street non tiene in considerazione i dati dell’economia reale. Per Wall Steet vale lo slogan del “bispensiero” unico finanziario:
“Se l’economia reale va a fondo i mercati finanziari salgono. Dati economici negativi sono accolti positivamente dalle Borse. Le notizie peggiori fanno addirittura da volano per la speculazione”.
Alan Greenspan e Ben Bernanke successivamente, ci hanno intrappolato nella Bolla delle Bolle del Millennio. I due Presidenti della FED hanno gonfiato una serie di bolle speculative che hanno continuato a gonfiarsi negli anni: ora il nostro destino e’ legato a doppio filo alle vicende della piu’ grande casa da gioco che l’umanita’ abbia mai conosciuto: la Borsa di New York.
Quando la bolla scoppiera’ possiamo stare certi che gli indici azionari americani crolleranno e il dollaro ne seguira’ immediatamente la sorte. Crollera’ il Dow seguito dal dollaro e da un aumento dei tassi d’interesse con una forte caduta delle quotazioni obbligazionarie.
Cominciano ad apparire le prime crepe. Il credito facile negli USA e in Giappone e le molteplici bolle speculative ne sono il presagio. Il pianeta si trova a un passo dal baratro anche se questo puo’ essere dissimulato ancora per qualche mese di euforia finanziaria.
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Russia, Grecia, Turchia, Kazakhstan e Azerbaijan espandono le proprie riserve auree
Per il settimo mese consecutivo, in aprile 2013 le Banche Centrali di Russia, Grecia, Turchia, Kazakhstan e Azerbaijan hanno provveduto a espandere le proprie riserve diversificandole in oro a causa dei timori sulla “tenuta” di valute di riserva internazionali come dollaro ed Euro.
I dati del Fondo Monetario Internazionale mostrano che la Russia sta aggressivamente diversificando le proprie riserve. In aprile sono aumentate di 8,4 tonnellate metriche arrivando a un totale globale di 990 tonnellate metriche. Nei primi quattro mesi dell’anno l’incremento delle riserve auree raggiunge il 3,4% rispetto l’anno precedente (nel 2012 l’aumento rispetto al 201,1 fu dell’8,5%).
La Banca Centrale del Kazakhstan ha incrementato le riserve di 2,6 tonnellate in aprile portandole a 125.50 tonnellate complessive con un aumento dell’8,9% quest’anno. Nel 2012 l’incremento fu del 41% rispetto il 2011 (dati desunti dal sito web della Banca Centrale del Kazakhstan).
Anche la Turchia ha potenziato le proprie riserve ad aprile (decimo mese consecutivo di aumento) acquisendone 18,2 tonnellate metriche e portando l’ammontare globale in riserve auree a 427,10 tonnellate.
La Bielorussia ha potenziato le proprie riserve in oro per il settimo mese consecutivo.
Infine e’ interessante osservare che anche la Grecia ha provveduto ad acquistare oro a titolo di riserva per il quarto mese consecutivo.
Questo potrebbe essere interpretabile come un segnale nel caso in cui la Grecia fosse costretta a lasciare la zona Euro ristabilendo la dracma; un incremento delle proprie riserve auree offrirebbe alla Grecia una protezione (seppur estremamente ridotta) contro la svalutazione della nuova moneta.
E’ certo, come asserivamo, che la protezione anti-inflazionista sarebbe assolutamente minuscola considerando l’alto ammontare di debito pubblico greco e la bassa produttivita’ generale del settore economico ellenico.
Le Banche Centrali stanno acquistando oro in un’ottica di lungo periodo tendente alla diversificazione strategica delle proprie riserva valutarie (forex portfolio).
I boards delle Banche Centrali stanno dando prova di estrema prudenza finanziaria diversificando in oro e accumulando soprattutto nelle fasi di debolezza nelle quotazioni del metallo giallo, ignorando i “rumori “di fondo del trading giornaliero (day-to-day trading).
Il trend di lungo termine relativo alla diversificazione in oro delle riserve da parte delle Banche Centrali rimane intatto sostenendo le quotazioni del metallo giallo anche nei prossimi anni.
Nel 2012 le Banche Centrali hanno acquisto ben 534,60 tonnellate metriche di oro, il massimo dal 1964 a questa parte. Il World Gold Council stima che entro il 2013 le Banche Centrali possano raggiungere il record di 550 tonnellate in acquisto.