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Le Guerre dei Petrodollari | La fine del Petrodollaro – Parte 3

Stai per immergerti nella terza parte del report: La fine del Petrodollaro.
Se ti sei perso le precedenti puntate qui in basso trovi i link:

Leggi qui la prima parte
Leggi qui la seconda parte

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Introduzione alla Terza Parte

Come abbiamo appreso dalle precedenti parti di questo report, il sistema del petrodollaro che è stato creato nel 1970 ha portato enormi benefici all’America, sia economicamente che dal punto di vista politico.

Quello che era iniziato come un modo per aumentare la domanda per il dollaro statunitense, sulla scia di un allontanamento dal gold standard internazionale nel 1971, ha fornito vantaggi che pochi avrebbero potuto mai immaginare, incluso il sancire il dollaro come valuta mondiale di preferenza.

Questo si è rivelato importante soprattutto a seguito di una temporanea perdita di credibilità del dollaro dopo la decisione del presidente Nixon di chiudere ‘la finestra dell’oro.’

In parole povere, il sistema dei ‘dollari in cambio di petrolio’ ha notevolmente arricchito gli Stati Uniti. Ma questa prosperità nazionale è arrivata a spese di altre nazioni e della loro potenziale prosperità.

Questo ci porta dritto ad uno degli aspetti più controversi, e quindi nascosti, del sistema del petrodollaro. Vale a dire, come questo sistema ha influenzato le relazioni dell’America con le nazioni straniere, soprattutto quelle dell’area medio orientale.

In questa terza parte del report sul petrodollaro, ti spiegherò come l’America ha gestito le crescenti sfide internazionali per sostenere il sistema del petrodollaro.

E quel che stai per scoprire è che le conseguenze sono state a dir poco tragiche.

Ho intitolato questa parte: Le Guerre dei Petrodollari. Qui mi concentrerò in particolare sulla guerra in Iraq del 2003.

Nella quarta parte, che sarà l’ultima, fornirò una dettagliata descrizione della connessione tra il petrodollaro e la guerra in Afghanistan ed i preparativi per una guerra contro la Siria e l’Iran.

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Il mondo attualmente consuma circa 90 milioni di barili di petrolio al giorno.

Secondo alcune proiezioni, la domanda globale di petrolio è destinata ad aumentare anche in futuro.

E grazie al sistema del petrodollaro, la crescente domanda mondiale di petrolio porta ad un aumento della domanda di dollari USA.

Questa domanda artificiale di dollari ha fornito notevoli benefici all’economia degli Stati Uniti. Ha inoltre indotto la Federal Reserve a mantenere un’abbondante creazione di dollari freschi di stampa.

Con il perenne ampliamento della base monetaria degli Stati Uniti lo standard di vita degli americani è aumentato di pari passo.

(Se questa logica non ti sembra aver alcun senso, rileggi la prima parte di questo report)

L’unico problema posto da questa situazione è che per continuare ad esser sostenuta c’è bisogno che la domanda di dollari e di titoli di stato degli Stati Uniti rimanga sempre forte.

Cogliere quest’ultimo punto è estremamente importante.

Infatti, se la domanda globale, ma artificiale, di dollari, resa possibile dal sistema del petrodollaro, cominciasse a sgretolarsi, le nazioni estere che avevano precedentemente trovato utile detenere dollari sarebbero improvvisamente portate a scoprire che non sarebbe più necessario detenere delle enormi riserve di dollari come avevano fin d’ora fatto.

Questa enorme quantità di dollari, che risulterebbe essere non più utile alle nazioni estere, verrebbe di corsa rispedita al suo luogo di origine… l’America.

Ovviamente, un afflusso di dollari nell’economia americana porterebbe ad incredibili pressioni inflazionistiche all’interno del sistema economico USA.

Non è mai abbastanza l’enfasi che si pone sull’importanza di questo concetto, perché l’intero sistema monetario americano poggia letteralmente sulle basi dei ‘dollari in cambio di petrolio’.

Senza di esse, Washington perderebbe la ‘giustificazione’ per stampare quantità eccessive di dollari.

Pertanto, non dovrebbe essere una sorpresa che l’America abbia un intimo interesse a mantenere in piedi il sistema del petrodollaro.

E, se tu fossi un cittadino americano, sarebbe anche nel tuo stesso interesse.

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Che cosa accadrebbe se il sistema del petrodollaro terminasse domani?

Permettimi di spiegare brevemente l’impatto che l’interruzione improvvisa del sistema del petrodollaro avrebbe sugli Stati Uniti d’America.

  • Le nazioni estere inizierebbero ad inviare una valanga di dollari indietro agli Stati Uniti, in cambio di una nuova ipotetica valuta che si rivelerebbe necessaria per comprare il petrolio;
  • La Federal Reserve perderebbe la sua capacità di stampare altri dollari per risolvere i problemi economici dell’America;
  • Il segretario del Tesoro ed il presidente della Federal Reserve si incontrerebbero per determinare quale sia la migliore linea d’azione;
  • Tale azione comporterebbe un immediato e considerevole aumento dei tassi d’interesse per ridurre l’offerta di valuta americana;
  • Seguirebbe un periodo temporaneo di iperinflazione prima che i nuovi tassi d’interesse abbiano effetto;
  • Tutti i prezzi legati al petrolio, tra cui quelli della benzina, raggiungerebbero livelli scandalosamente alti;
  • Washington si renderebbe presto conto che la quantità totale di valuta nel sistema dovrebbe essere ulteriormente e drasticamente ridotta, portando ad un ancora più elevato aumento dei tassi di interesse;
  • Il pubblico disorientato richiederebbe delle risposte. La sinistra darebbe la colpa alla destra. La destra incolperebbe la sinistra. Ed entrambi i partiti politici cercherebbero di incolpare la banca centrale;
  • Le persone con debiti a tasso variabile verrebbero schiacciate e si verificherebbero licenziamenti di massa perché le imprese sarebbero afflitte dagli alti tassi d’interesse;
  • I prezzi degli asset su tutti i mercati precipiterebbero di valore;
  • Nel bel mezzo di questa carneficina finanziaria, una ripresa economica comincerebbe alla fine a prendere posto. Ma questa nuova economia americana sarebbe tremendamente più piccola a causa di una massa monetaria drasticamente ridotta.

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Questo breve scenario è tutt’altro che esaustivo e probabilmente è anche molto incompleto. Ma lo fornisco per aiutarti a capire il grande danno economico che gli Stati Uniti dovrebbero sostenere se il sistema del petrodollaro venisse improvvisamente a cessare.

L’élite di Washington è intimamente consapevole di quanto grave la situazione economica potrebbe diventare se il sistema del petrodollaro dovesse fallire.

Dopo tutto, loro sono stati gli architetti ed i mandanti di tutto questo sistema.

E se si considerano le politiche di Washington a partire dalla metà degli anni ’70, è evidente che non hanno alcuna intenzione di permettere al sistema del petrodollaro di cessare.

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L’AMERICA:
Il Principale Guardiano del Sistema del Petrodollaro

Sin dagli albori dell’era del petrolio, le strategie geopolitiche inventate dalle nazioni sviluppate sono sempre state incentrate sul mantenimento di un facile accesso alle forniture mondiali di petrolio.

Solo degli ingenui potrebbero negare gli evidenti e vitali incentivi economici e politici che sono derivati ​​dall’accesso a forniture di petrolio a basso costo.

E mentre la maggior parte delle nazioni hanno una chiara motivazione, dettata da necessità puramente economiche,  per:

  • mantenere un facile accesso alle forniture di petrolio;
  • mantenere il costo delle forniture di petrolio il più basso possibile;
  • mantenere la buona volontà politica che si viene a generare tra i popoli che producono e che consumano petrolio.

queste non sono certo le uniche preoccupazioni per gli Stati Uniti.

Come hai potuto scoprire, gli Stati Uniti hanno un ulteriore movente per quanto riguarda il petrolio mondiale. Vale a dire:

fare in modo che il petrolio di tutto il mondo, comprese le forniture attuali e quelle future, rimangano valutate in dollari USA.

Un semplice esame delle iniziative di politica estera americana sulla scia dello ‘shock petrolifero’ del 1973, e la conseguente fondazione del sistema del petrodollaro nella metà degli anni ’70, rende nettamente chiaro a qualsiasi casuale osservatore politico che un obiettivo centrale di Washington è stato quello di controllare le forniture di petrolio a livello mondiale, in particolare nell’Asia occidentale.

Nel 1973, sulla scia del coinvolgimento militare degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, Washington iniziò a portare la sua attenzione su un’altra regione del globo: il Golfo Persico.

La guerra dello Yom Kippur infiammò quest’area ricca di petrolio.

Dopo il successivo ‘shock petrolifero’ del 1973, il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon ha avvertito i cittadini che “l’intervento militare americano per proteggere le vitali forniture di petrolio” nella regione era una concreta possibilità.

Questo discorso segnò il primo impegno ufficiale e formale per sbarcare truppe USA in Medio Oriente per l’esplicito motivo di tutelare gli interessi petroliferi americani.

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Il 1 ° marzo 1980 gli Stati Uniti hanno annunciato la creazione della Rapid Deployment Joint Task Force (RDJTF).

La missione dichiarata della Rapid Deployment Force era di fare da deterrente (in primo luogo contro i sovietici) e quindi ‘aiutare a mantenere stabile la regione del Golfo ed il flusso di petrolio diretto verso l’occidente.’

Il 1° gennaio 1983 la Rapid Deployment Force voluta da Carter si trasformò in una forza separata denominata Comando Centrale degli Stati Uniti (USCENTCOM).

Lo USCENTCOM sarebbe divenuto responsabile per le regioni del Medio Oriente e dell’Asia centrale.

Dal 1980, gli Stati Uniti hanno freneticamente costruito basi militari in tutta l’Asia occidentale.

Capire il sistema del petrodollaro ti aiuterà a dare un senso alle centinaia di basi militari statunitensi in istanza in oltre 130 paesi nel mondo.

Dopo tutto, il mantenimento di un impero che dipende dal sistema di ‘dollari in cambio di petrolio’ non è certo un compito da poco conto e richiede un attento monitoraggio e supervisione delle forniture mondiali di petrolio.

Primo fra le potenziali preoccupazioni per i custodi del petrodollaro sono: le minacce di restrizioni alle forniture di petrolio, le scoperte di nuovi giacimenti di petrolio in Paesi potenzialmente ‘anti-occidentali,’ la nazionalizzazione da parte di un Paese delle forniture di petrolio, e forse cosa più importante, la concezione di “soluzioni permanenti” a i problemi presentati dai Paesi che osino sfidare l’attuale sistema di ‘dollari in cambio di petrolio.’

In quanto custode primario del petrodollaro, gli Stati Uniti spesso vedono il proprio avventurismo militare in contrasto con gli obiettivi di nazioni straniere che non condividono lo stesso entusiasmo ad affrontare altre nazioni sovrane per un sistema in cui non condividono reali incentivi diretti.

Alla luce di questi fatti, andiamo ora ad esplorare come il sistema del petrodollaro ha influito sulle azioni della politica estera dell’America nella regione petrolifera dell’Asia occidentale.

Inizieremo tornando a dare uno sguardo al momento più buio dell’America.

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I tamburi di guerra suonano per l’Iraq:
Prima dell’11 settembre

world-trade-center-explosionL’11 settembre del 2001, i rapporti dell’America con il Medio Oriente cambiarono per sempre.

I tragici eventi di quel giorno vivono ancora nella memoria di ogni persona. Le spaventose carneficine a New York City, Washington DC, e Shanksville, in Pennsylvania sono state strazianti per miliardi di persone in tutto il mondo che hanno guardato con terrore lo svolgersi degli eventi davanti ai loro occhi in diretta televisiva.

È interessante notare che, appena cinque ore dopo che il volo American Airlines 77 si schiantò contro il Pentagono, il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld ha ordinato al suo staff di sviluppare dei piani per un attacco contro l’Iraq – nonostante il fatto che non vi fosse alcuna prova che collegasse quel paese, od il suo leader Saddam Hussein, con gli attacchi dell’11 settembre.

Successivamente, quando arrivarono i rapporti che tre dei dirottatori coinvolti negli attacchi dell’11 settembre erano collegati ad Al Qaeda, Rumsfeld, come dimostrato, diventò così determinato a trovare una spiegazione razionale per un attacco verso l’Iraq che “in 10 diverse occasioni ha richiesto alla CIA di trovare prove che colleghino l’Iraq agli attacchi terroristici dell’11 settembre.” La CIA tornò ripetutamente a mani vuote.

Il 12 settembre 2001, nonostante non ci fu neanche una prova contro l’Iraq, il segretario alla Difesa Rumsfeld propose al presidente George W. Bush che l’Iraq avrebbe dovuto essere “un obiettivo principale del primo round della guerra contro il terrorismo”.

Bush, insieme ad altri suoi consiglieri, tra cui il vice segretario alla Difesa Paul Wolfowitz, sostenette con forza l’idea che l’Iraq dovesse essere incluso nei loro piani di attacco.

Colin Powell, allora Segretario di Stato esortò però alla calma, affermando che “l’opinione pubblica doveva essere pronta prima che una mossa contro l’Iraq fosse possibile.”

In tutta onestà, però, Washington si stava già preparando per una nuova invasione dell’Iraq.

Il Los Angeles Times ha riferito che già un anno prima degli attacchi dell’11 settembre, gli USA iniziarono nell’aprile del 2000 la costruzione di Al Adid, una base militare del costo di un miliardo di dollari in Qatar con una pista lunga 4,5 km. Quali furono le giustificazioni dichiarate da Washington per la nuova base di Al Adid, e di altre simili nella regione del Golfo?:

Preparativi per nuove azioni contro l’Iraq.

Questo è un documento del Pentagono del 5 marzo 2001, dal titolo Attori Esteri per Contratti su Campi Petroliferi Iracheni.

Si descrive come i Campi petroliferi iracheni sarebbero stati suddivisi ed aggiudicati alle compagnie petrolifere occidentali ben due interi anni prima della guerra.

Sarebbe più tardi stato rivelato che l’invasione dell’Iraq venne messa in cima all’agenda dell’amministrazione Bush già dopo soli 10 giorni dal suo insediamento, che avvenne ben otto mesi prima dell’11 settembre.

In un libro esplosivo intitolato Against All Enemies scritto dall’ex direttore antiterrorismo di Bush, Richard A. Clarke, l’autore racconta la vita nell’amministrazione Bush nei giorni immediatamente successivi agli attentati dell’11 settembre:

“Il presidente in un modo molto intimidatorio ci ha lasciato, me ed il mio staff, con la chiara indicazione che quando sarebbe tornato avrebbe voluto che gli dicessimo di aver trovato una mano irachena dietro all’11 settembre, questo perché avevano progettato di agire in Iraq da prima che fossero entrati in carica.

Credo che abbiano avuto un piano fin dal primo giorno per agire in Iraq.

Mentre il World Trade Center era ancora un ammasso fumante, mentre stavano ancora estraendo corpi dalle macerie, alcune persone alla Casa Bianca stavano pensando: ‘Ah! Questo ci dà l’opportunità che stavamo cercando per andare in Iraq’.”

Il 17 settembre, solamente sei giorni dopo gli attacchi dell’11 settembre, il presidente George W. Bush additò Osama Bin Laden come il “primo sospettato” del più grande atto terroristico sul suolo americano della storia.

La risposta di Washington fu rapida.

Il 20 settembre 2001, il Presidente Bush ha incontrato il primo ministro britannico, Tony Blair per coordinare i piani di guerra.

Nel corso della riunione, Bush afferma la sua intenzione di attaccare immediatamente l’Iraq.

Blair consiglia a Bush di rimanere concentrato su Al Qaeda e di lavorare per guadagnare sostegno internazionale prima che un’invasione dell’Iraq sia possibile. Bush accettò riguardo al ‘lasciare l’Iraq per un altro giorno.’

IRAQADDARIO042-1Il 7 ottobre del 2001, l’operazione Enduring Freedom venne lanciata.

Migliaia di soldati americani vennero inviati nelle regioni montuose dell’Afghanistan. L’obiettivo dichiarato da Washington per questa missione era chiaro: catturare Bin Laden, e spazzare via due gruppi intimamente collegati a lui: Al Qaeda ed i Talebani.

Ma l’amministrazione Bush non aveva alcuna intenzione di permettere che una crisi andasse sprecata. Mentre erano riusciti nel loro iniziale piano di invadere l’Afghanistan, l’Iraq era ancora in prima linea nella mente collettiva dell’amministrazione.

Nel giro di poche settimane dopo che la guerra in Afghanistan ebbe avuto inizio, Washington cominciò ad usare i mass media, controllati dalle corporazioni, per costruire il consenso necessario per un’invasione su vasta scala dell’Iraq.

Per la costruzione di una causa per una nuova guerra, i funzionari statunitensi iniziarono pubblicamente ad affermare che l’Iraq, e il suo maniacale dittatore Saddam Hussein, rappresentavano una serie completamente diversa di minacce alla sicurezza nazionale, nonostante il fatto che nessuna prova legasse legittimamente Bin Laden all’Iraq.

Nonostante questa stupefacente mancanza di prove, l’amministrazione Bush ha continuato a battere sul pubblico americano con una folle frenesia per la guerra dettata da pretese infondate sul presunto sviluppo e possesso, da parte dell’Iraq, di armi di distruzione di massa. Inoltre, i legami intimi dell’Iraq a gruppi terroristici internazionali vennero evidenziati, e ipnoticamente ripetuti, attraverso i mass media tradizionali.

Un’America profondamente ferita dall’11 settembre cercava disperatamente risposte e giustizia.

Nel momento del dolore e della paura più profonda, l’élite di Washington ha manipolato le masse per promuovere le proprie misure di politica estera desiderate.

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Non ci furono freni.

Le radio conservative ed i talk show in televisione iniziarono a ribadire testualmente i punti di Bush, avvertendo il già spaventato pubblico americano sulle tremende minacce che l’Iraq rappresentava per la sicurezza nazionale.

I cristiani americani, che affermano apertamente la loro adulazione per il “Principe della pace”, optarono invece per lo spargimento di sangue.

Molti cristiani hanno cercato di giustificare la carneficina della guerra in Iraq usando la teoria di una “guerra giusta”, ed hanno cercato la vendetta attraverso un attacco militare preventivo contro l’Iraq.

Non ci volle molto perché l’America fosse diventata nettamente divisa riguardo alla frettolosa insistenza di Washington per lanciare un’altra guerra nell’instabile regione del Medio Oriente.

E mentre la maggior parte del pubblico americano ha sostenuto un’invasione su larga scala dell’Iraq, altri sollecitavano per un approccio più diplomatico.

Ma in seguito alla devastazione dell’11 settembre, pochi furono in vena di atti diplomatici.

Mentre i tamburi di guerra batterono sempre più forte per l’Iraq, domande legittime riguardanti il ​​merito della guerra voluta da Washington cercavano di fornire risposte specifiche per un pubblico ormai confuso e stancato dal terrore.

Alcune di queste pressanti domande includevano:

C’era la prova che l’Iraq aveva in programma di ferire il popolo americano o di invadere i confini della nazione nordamericana?

C’erano prove solide che confermassero che l’Iraq avesse armi di distruzione di massa?

E, c’erano prove che collegavano il presidente iracheno Saddam Hussein ai viscidi piani che portarono agli eventi dell’11 settembre?

L’amministrazione Bush ed i media tradizionali, controllati dalle corporazioni, non hanno perso tempo a rispondere a quelle difficili domande con un sonoro e troppo fiducioso “sì”.

Purtroppo, come tutti noi oggi sappiamo, Saddam Hussein non aveva alcun collegamento con Osama Bin Laden, o con i tragici eventi dell’11 settembre.

Quando un corrispondente dalla Casa Bianca ha posto una domanda sulla connessione diretta tra l’Iraq e gli eventi dell’11 settembre, il presidente George W. Bush ha negato che qualsiasi collegamento fosse mai esistito.

In maniera molto comoda, questo cambiamento di tono da parte dell’amministrazione è avvenuto solo dopo che la guerra fosse già iniziata.

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La Connessione tra Iraq e Petrodollari

Ma allora perché l’Iraq? Perché una corsa alla guerra contro un paese che ovviamente non aveva alcun legame con gli eventi dell’11 settembre?

Mentre scrivo questo report, all’inizio del 2012, è facile supporre che la maggior parte degli americani avesse dei sospetti, per quanto lievi, verso le ragioni raccontate per spiegare il bisogno degli Stati Uniti di invadere l’Iraq nel 2003.

Semplicemente non è possibile spiegare la profondità della corruzione che esiste oggi ai più alti livelli del governo.

Coloro che hanno ceduto alla rappresentazione dei media tradizionali che dipinsero il governo americano come un’istituzione che cerca il bene comune, avrebbero fatto bene a ricordare le parole del primo leader americano:

“Il governo non è ragione, non è eloquenza, ma è forza. Come il fuoco, è un servo pericoloso ed un maestro intimorente.”

– Presidente George Washington

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Usando questa citazione come sfondo, cerchiamo di scavare più a fondo per rispondere alla nostra domanda iniziale: perché gli Stati Uniti sembrarono così ansiosi di lanciare una guerra non provocata contro l’Iraq?

E perché gli Stati Uniti covavano questi piani di guerra molti mesi prima degli eventi dell’11 settembre?

Dopo tutto, molte altre nazioni in tutto il mondo hanno confermato di avere scorte di armi pericolose. Allora perché gli Stati Uniti hanno specificamente mirato all’Iraq subito dopo l’invasione dell’Afghanistan del 2001?

Gli Stati Uniti hanno forse avuto qualche altra motivazione per cercare il sostegno internazionale per invadere l’Iraq?

William R. Clark è stato tra coloro che hanno messo in discussione lo status quo e le motivazioni indicate da Washington per quanto riguarda l’invasione dell’Iraq.

Nel suo libro, Petrodollar Warfare, Clark sostiene che l’invasione del 2003 guidata dagli USA in Iraq non è stata basata sulla “violenza o il terrorismo, ma su qualcosa di molto diverso, ma non del tutto sorprendente – il declino del potere economico e la depauperazione degli idrocarburi.”

Il lavoro di Clark è stato fortemente influenzato da un altro autore di nome F. William Engdahl e dal suo libro, A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order.

Secondo una ricerca condotta da entrambi Clark e Engdahl, l’invasione guidata dagli USA in Iraq non è stata motivata esclusivamente da un collegamento dell’Iraq ai gruppi terroristici che hanno architettato gli attacchi dell’11 settembre.

Né fu motivata dalla preoccupazione per la sicurezza dei cittadini americani o per simpatia verso il popolo iracheno e la loro mancanza di libertà e democrazia.

Invece, Clark e Engdahl entrambi, hanno sostenuto che l’invasione guidata dagli Usa è stata ispirata principalmente dalla sfida irachena pubblicamente dichiarata al sistema del petrodollaro.

Stando a ciò che è scritto a pagina 28 del libro di Clark:

“Il 24 settembre del 2000 Saddam Hussein sarebbe uscito da una riunione del suo governo proclamando che l’Iraq sarebbe presto passato a negoziare le esportazioni di petrolio valutandole in euro.”

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Non molto tempo dopo questa riunione, Saddam Hussein iniziò i preparativi per effettuare il passaggio delle esportazioni di petrolio dal suo paese dalla valutazione in biglietti verdi a quella in euro.

Per quanto controcorrente e curiosa fosse stata quest’azione da parte dell’Iraq, venne scarsamente riportata dai mass media occidentali, controllati dalle corporazioni.

Clark commenta questa limitata copertura mediatica a pagina 31 del suo libro:

“La CNN ha scritto un breve articolo sul suo sito web il 30 ottobre 2000, ma dopo questa notizia circolata per un giorno la questione dell’Iraq che stava passando ad un sistema di petroeuro è essenzialmente scomparsa da tutti e cinque i media corporativi degli Stati Uniti.”

Nel 2002, Saddam si fu completamente convertito ad un sistema di petroeuro – in sostanza, scaricando il dollaro.

Il 19 marzo del 2003, George W. Bush ha annunciato l’inizio di un’invasione su vasta scala dell’Iraq.

Secondo Clark e Engdahl, l’audace minaccia di Saddam al sistema del petrodollaro aveva indotto tutta la forza e la furia delle forze armate degli Stati Uniti a presentarsi sul giardino davanti casa sua.

La guerra in Iraq è stata realmente motivata dalle armi di distruzione di massa, da al-Qaeda, dalla lotta contro il terrorismo, e dalla promozione della democrazia?

Oppure il fine dichiarato dall’America di ‘liberare’ il popolo iracheno da un brutale regime era in realtà solo un ingegnoso pretesto per dare un esempio di ciò che succede ad una nazione che osi minacciare l’esistenza del sistema del petrodollaro?

Io non faccio parte dell’élite di Washington. E non faccio pretese di conoscere le menti di altri uomini. Tuttavia, più ci sforziamo di considerare tutti i fatti, più ci accorgiamo che l’invasione dell’Iraq è stata probabilmente una delle prime di una serie di ‘guerre dei petrodollari’ volte a tutelare gli interessi economici americani.

Va notato che le riserve petrolifere accertate dell’Iraq sono considerati tra le più vaste del mondo.

Inoltre, alcuni esperti ritengono che i giacimenti petroliferi iracheni, molti dei quali devono ancora essere sfruttati, nei prossimi anni catapulteranno l’Iraq sopra l’Arabia Saudita per totale di riserve accertate di petrolio.

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Cosa ci sta a fare il ‘petrolio americano’ sotto la sabbia irachena?

Washington, naturalmente, ha negato categoricamente qualsiasi accusa che la guerra in Iraq fosse stata motivata da qualcosa di diverso dal disarmare l’Iraq e liberare la sua oppressa popolazione.

Secondo l’élite di Washington, la guerra in Iraq non è stata, né mai fu, una guerra per le forniture di petrolio irachene.

Considera questo piccolo campione di citazioni da alcuni dei funzionari degli Stati Uniti:

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“L’idea che gli Stati Uniti bramino i giacimenti petroliferi iracheni è un’impressione sbagliata. Ho un profondo desiderio di pace. Questo è quello che desidero. E la libertà per il popolo iracheno. Vede, non mi piace un sistema in cui le persone sono represse con la tortura e l’omicidio al fine di mantenere al potere un dittatore. Questo mi preoccupa profondamente. E quindi il popolo iracheno deve sentire questo messaggio forte e chiaro, che questo paese non ha intenzione di conquistare nessuno.”

– (Presidente degli Stati Uniti George W. Bush)

 

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“Non si tratta di petrolio, si tratta di un tiranno, un dittatore, che sta sviluppando armi di distruzione di massa da usare contro le popolazioni arabe.”

– (Segretario di Stato degli Stati Uniti Colin Powell)

 

“Non si tratta di petrolio e non si tratta di religione.”

– (Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Donald Rumsfeld)

 

 

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“Ho sentito di quell’accusa (di motivazioni legate al petrolio) e semplicemente la rifiuto.”

– (Coalition Provisional Authority Paul Bremer)

 

 

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“Non si tratta di petrolio.”

– (Generale John Abizaid, comandante combattente, Comando Centrale)

 

 

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“Non è stato per il petrolio.”

– (Ministro dell’Energia Spencer Abraham)

 

 

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“Non è per il petrolio.”

– (Il Financial Times ha riferito che Richard Perle gridava frustrato ad un addetto al parcheggio)

 

 

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“Non si tratta di petrolio.”

– (Tesoriere dell’Australia Peter Costello)

 

 

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“L’unica cosa che posso dirvi è questa guerra non è per il petrolio.”

– (Ex Segretario di Stato Lawrence Eagleburger)

 

 

“Non si tratta di petrolio. Si tratta della pace e della sicurezza internazionale.”

– (Jack Straw, ministro degli Esteri britannico)

 

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“Non si tratta di petrolio. Questo è molto chiaro. Si tratta dell’America, e della posizione dell’America nel mondo, come sostenitrice della libertà degli oppressi.”

– (Senatore repubblicano dello Utah Bob Bennett)

 

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“Non c’entra proprio niente.”

– (Portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer riferendosi al desiderio degli Stati Uniti di accedere ai campi petroliferi iracheni.)

Condoleeza Rice, in risposta alla dichiarazione, “se l’esportazione primaria o la risorsa naturale di Saddam fosse l’olio d’oliva, piuttosto che il petrolio, non saremmo in questa situazione” disse:

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“Questo non può essere più lontano dalla verità. Lui è una minaccia per i suoi vicini. E’ una minaccia per gli interessi della sicurezza americana. Questo è ciò che il presidente ha in mente.”

Ha poi continuato: “Non si tratta di petrolio.”

 

La linea del governo era forte e chiara:

la guerra in Iraq NON era motivata dal petrolio.

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Oppure… è stato per il petrolio?London_anti-war_protest_banners

Nonostante il rifiuto categorico da parte dell’élite di Washington a supporto che le loro intenzioni fossero nient’altro che pure, non ci volle molto perchè i dissidenti emergessero. Manifestazioni contro la guerra hanno riempito le piazze di quasi ogni città americana.

È interessante notare che, mentre infuriava la guerra contro l’Iraq, anche alcuni all’interno del circolo di Washington cominciarono a fare commenti rivelando il collegamento USA-Iraq-petrolio.

Nel gennaio 2003, il ministro degli Esteri britannico Jack Straw ha ammesso che il petrolio era una priorità fondamentale per il coinvolgimento dell’Occidente in Iraq, ancor di più che delle presunte “armi di distruzione di massa.”

Nel giugno 2003, vice segretario alla Difesa Paul Wolfowitz ha formulato le seguenti osservazioni dopo che gli venne chiesto il motivo per cui l’Iraq riceveva un trattamento diverso rispetto alla Corea del Nord sulla questione di una minaccia nucleare, mentre era ad un vertice sulla sicurezza asiatica a Singapore per un discorso:

“Vediamo la questione in maniera semplice. La differenza più importante tra la Corea del Nord e l’Iraq è che economicamente, non abbiamo avuto altra scelta in Iraq. Il paese nuota in un mare di petrolio.

In un’intervista nell’agosto del 2008 per la rivista BusinessWeek, la candidata repubblicana alla vicepresidenza Sarah Palin ha dichiarato:

“Siamo una nazione in guerra e lo siamo in molti modi! Le ragioni di una guerra per accaparrarsi fonti di energia, sono prive di senso se si considera che a livello nazionale abbiamo le forniture pronte per essere usate.”

Durante un incontro pre-elettorale nel 2008, l’ex candidato alla presidenza e senatore John McCain, ha fatto la seguente dichiarazione:

“Cari amici, porterò una politica energetica che eliminerà la nostra dipendenza dal petrolio del Medio Oriente, e questo ci consentirà di non dover mai più mandare di nuovo i nostri giovani uomini e donne a combattere un conflitto in Medio Oriente.”

L’ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, ha dichiarato quanto segue a pagina 463 del suo libro, The Age of Turbulence:

“Sono desolato che sia politicamente sconveniente riconoscere quello che tutti sanno: il petrolio è stato il motivo principale della guerra in Iraq.”

In un’intervista con Bob Woodward del Washington Post, Greenspan ha elaborato il commento nel suo libro dicendo che rimuovere Saddam dal potere è stato “essenziale” per mantenere in piedi il “sistema esistente”.

A quanto pare tutti nella cerchia di Greenspan ‘sapevano’ che la guerra in Iraq era per il petrolio. Tuttavia, all’americano medio veniva detto esattamente il contrario dall’amministrazione Bush e dai corrotti e derelitti mass media tradizionali controllati dalle corporazioni.

In un’intervista televisiva per Frontline, l’ex segretario di Stato James A. Baker III ha fatto la seguente dichiarazione in merito la politica di sicurezza nazionale USA:

“Sono stato un membro di quattro amministrazioni (presidenziali). Ed in ognuna di quelle amministrazioni avevamo scritto come politica di sicurezza nazionale che saremmo andati in guerra per proteggere le riserve energetiche nazionali del Golfo Persico, se necessario.”

Il generale John Abizaid, che fu precedentemente il Comandante della USCENTCOM durante la guerra in Iraq, ha dichiarato nel corso di un dibattito nell’ottobre del 2007 dal titolo: “Corteggiando il Disastro: la lotta per il petrolio, l’acqua ed un pianeta sano” presso la Stanford University:

“Naturalmente (la guerra in Iraq), è stata motivata dal petrolio, non possiamo negarlo.”

L’ex ambasciatore degli Stati Uniti, ed interventista, John Bolton ha ammesso pubblicamente in un’intervista per FoxNews in data 22 Ottobre 2011, che le molteplici guerre che l’America ha combattuto in Medio Oriente sono state fatte per assicurare le forniture di petrolio. Parlando dei conflitti tra USA e Medio Oriente, Bolton ha dichiarato:

“Le regioni che producono petrolio e gas naturale per cui abbiamo combattuto tante guerre per cercare di proteggere la nostra economia dagli effetti negativi della perdita delle forniture o di averle disponibili solo a prezzi molto alti.”

Sulla base delle citazioni sopra elencate, non c’è bisogno di chiedersi se le forniture di petrolio dell’Iraq abbiano avuto un ruolo nell’invasione del 2003 guidata dagli USA.

Dopo tutto, le élite globali ci hanno detto senza mezzi termini che la guerra in Iraq era chiaramente motivata dal petrolio e dal mantenere la presa dell’impero americano su una regione così ricca di petrolio.

Nel 2011, questo è stato ulteriormente confermato quando vennero trapelati un gran numero di documenti governativi.

Infine, considera le seguenti parole da uno dei principali architetti della guerra in Iraq, il vice presidente Dick Cheney.

In un’intervista per C-Span registrata nel 1994 – nove anni prima dell’invasione dell’Iraq nel 2003 – a Cheney venne chiesto il suo parere sulla precedente guerra del 1991. La sua risposta è rivelatrice.

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D: Pensa che gli Stati Uniti, o le forze delle Nazioni Unite, avrebbero dovuto avanzare fino a Baghdad?

R: No.

D: Perché no?

R: Perché se fossimo andati a Baghdad saremmo stati soli. Non ci sarebbe stato nessun’ altro con noi. Ci sarebbe stata un’occupazione statunitense dell’Iraq. Nessuna delle forze arabe che erano disposte a combattere con noi in Kuwait erano disposte ad invadere anche l’Iraq.

Una volta arrivati in Iraq e deposto il governo di Saddam Hussein, a quel punto cosa avremmo potuto instaurare al suo posto?

Questa è una zona molto sensibile del mondo, e se si facesse cadere il governo centrale iracheno, si potrebbe facilmente finire per vedere pezzi di Iraq volare via: parte di esso, i siriani lo vorrebbe avere a ovest, parte di esso – l’Iraq orientale – verrebbe reclamato dagli iraniani che hanno combattuto otto anni per esso.

Nel nord ci sono i Curdi, e se questi Curdi, vedendosi liberi, si unissero con i Curdi in Turchia, allora si minaccerebbe l’integrità territoriale della Turchia. Sarebbe un tale invischiamento se si procedesse a conquistare l’Iraq.

L’altra cosa sarebbero le vittime. Tutti sono rimasti colpiti dal fatto che siamo stati in grado di fare il nostro lavoro con un numero esiguo di vittime come quello che abbiamo avuto.

Ma per i 146 americani uccisi in azione, e per le loro famiglie – non è stata una guerra a basso costo. E la domanda per il presidente, in termini di se andare o meno fino a Baghdad, assumendosi perdite umane aggiuntive al fine di spodestare Saddam Hussein, è se ne sarebbe valsa veramente la pena.

Il nostro giudizio è stato che non ne valse la pena, e penso che abbiamo avuto ragione.

A quanto pare, la mossa di Saddam di cambiare le vendite di petrolio dell’Iraq da dollari a euro potrebbe essere stata sufficiente a far cambiare idea a Cheney riguardo al sacrificio di vite americane.

Sulla base delle citazioni elencate sopra, e sulla montagna di prove che abbiamo oggi, è evidente che il petrolio ebbe svolto un qualche ruolo nell’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti.

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Purtroppo, gli innocenti civili iracheni sono quelli che hanno pagato il prezzo più alto dell’invasione americana.

Ad oggi, oltre 105.000 iracheni civili sono stati uccisi dall’inizio della guerra nel marzo 2003. E molte di queste vittime erano bambini.

Diamo uno sguardo a ciò che è avvenuto in seguito all’invasione guidata dagli Usa in Iraq per vedere se le azioni fatte concordano con le parole espresse.

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La Corsa post-Guerra per il Petrolio Iracheno

Tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003, i preparativi per la guerra in Iraq erano a buon punto.

Mentre gli Stati Uniti cercavano il sostegno internazionale per la guerra, molte nazioni hanno espresso la loro opposizione all’invasione. Cina, Russia e Francia erano tra queste nazioni.

Molti dei mass media americani, controllati dalle corporazioni, raffigurarono queste nazioni come ‘simpatizzanti’ e ‘sostenitrici’ del terrorismo, senza alcun fondamento che giustificasse la loro titubanza all’invasione dell’Iraq.

Tuttavia, ciò che i media corrotti hanno omesso di menzionare è che queste nazioni avevano contratti petroliferi in essere con l’Iraq che sarebbero stati messi in pericolo nel caso in cui l’Occidente avesse guadagnato il controllo dell’Iraq.

In un’intervista nell’ottobre 2002 per l’Observer britannico, un ufficiale russo alle Nazioni Unite ha dichiarato:

La preoccupazione del mio governo è che le concessioni concordate tra Baghdad e numerose imprese saranno rinnegate, e che le imprese americane arriveranno per prendere la quota più grande di tali contratti esistenti…

Sì, si potrebbe dire anche in questi termini: Washington vuole agguantarsi il petrolio.

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Con un’indagine appena un po’ più approfondita, gli incompetenti media controllati dall’élite americana avrebbero scoperto che vi era ben più d’altro che “simpatizzare” con i terroristi, e che prima della guerra la Russia aveva crediti per miliardi di dollari dall’Iraq. La Russia inoltre aveva anche miliardi in contratti futures.

Insieme con la Francia e la Cina, la Russia stava per guadagnare miliardi con i contratti futures sul petrolio quando, e se, le sanzioni contro l’Iraq fossero state revocate.

In un separato articolo del 2002, intitolato Il Petrolio dopo Saddam: Tutte le scommesse sono aperte, Samer Shehata, un esperto di questioni Medio Orientali presso il Center for Contemporary Arab Studies a Washington, è stato intervistato in merito alla situazione.

“La Russia, la Cina e la Francia hanno i più grandi interessi nel settore petrolifero iracheno. Una volta che Saddam è stato rimosso, tutto diventa nullo e non vi è alcuna autorità legale per far rispettare quei diritti.”

C’è forse da meravigliarsi del perché la gran parte del mondo odi l’America?

Naturalmente, agli americani viene detto che le nazioni li odiano perché hanno i ‘blue jeans’ e le ‘auto veloci’. Gli viene detto che le nazioni straniere li odiano a causa delle loro libertà.

Gli stessi corrotti che ingozzano con questa immondizia le gole del pubblico americano sono gli stessi che hanno mentito loro circa le vere ragioni della guerra in Iraq.

La verità è che pochissime nazioni straniere ‘odiano’ i cittadini americani.
Invece, disprezzano le azioni dell’impero americano con il suo avventurismo militare ed il suo eccessivo intervento negli affari esteri.

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La Prova Schiacciante del Petrodollaro come Motivo della Guerra in Iraq

Il 5 giugno del 2003, i corrotti media statunitense hanno perso una delle storie più importanti e rivelatrici circa la guerra in Iraq.

Tuttavia, Carol Hoyas e Kevin Morrison dal Financial Times di Londra hanno riportato la storia in un pezzo dal titolo: L’Iraq torna sul mercato internazionale del petrolio. Ecco un estratto della storia:

“Giovedì l’Iraq è rientrato nel mercato internazionale del petrolio per la prima volta dopo la guerra, offrendo 10 milioni di barili di petrolio dai suoi serbatoi di stoccaggio per la vendita al miglior offerente.

Per alcune aziende internazionali sarà la prima volta da più di un anno per fare affari direttamente con l’Iraq…

La gara d’appalto, per la quale le offerte devono essere presentate entro il 10 giugno, torneranno ad usare il dollaro per le transazioni – la moneta internazionale di negoziazione del petrolio – nonostante la recente caduta di valore del biglietto verde.

Saddam Hussein nel 2000, ha insistito perché il petrolio iracheno fosse venduto in cambio di euro, una mossa politica che ha incrementato i guadagni dell’Iraq grazie all’aumento del valore dell’euro nei confronti del dollaro.”

Non è forse almeno un po’ curioso notare che dopo solo poche settimane dall’invasione dell’Iraq, tutte le vendite di petrolio iracheno sono state commutate da euro di nuovo in dollari statunitensi?

Questa guerra, come Clark ed Engdahl suggeriscono, è stata forse la prima guerra dei ‘petrodollari’? Penso che le prove siano evidente che si tratti proprio di ciò.

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Pensaci. Se la guerra in Iraq non fosse stata guidata dal petrolio, allora sarebbe ridicolo che una nazione in fallimento come l’America possa spendere centinaia di miliardi di dollari per ‘diffondere la democrazia’ verso nazioni straniere, come l’Iraq, mentre gli stessi Stati Uniti stanno affrontando un rapido declino economico.

Come fa il popolo americano ad essere in grado di permettersi una politica estera talmente altruistica quando allo stesso tempo non può nemmeno permettersi di prendersi cura dei propri cittadini?

Ed infine, da quand’è che l’America è diventata così interessata a portare lo stile di vita ed i dollari americani a vantaggio di nazioni straniere senza ricevere niente in cambio?

E a proposito di ricevere, che cosa potrebbe eventualmente mai offrire l’Iraq in cambio all’America?

Forse il vice presidente Cheney ha risposto a questa domanda nel migliore dei modi durante un discorso del 1999 presso l’Istituto del Petrolio:

“Il Medio Oriente, con i due terzi del petrolio mondiale ed il costo più basso, è ancora il posto in cui si gioca la partita; nonostante le società siano in ansia per averci un maggiore accesso, i progressi continuano ad essere lenti.”

Infine, considera la dichiarazione decisamente schietta del senatore repubblicano Charles Hagel fatta in un discorso del 2007 presso l’Università Cattolica d’America a riguardo dei i veri scopi che hanno spinto alla guerra in Iraq:

“La gente dice che non stiamo combattendo per il petrolio. È ovvio che lo siamo. Parlano di interesse nazionale americano. Di che diavolo pensate che stiano parlando? Non siamo là mica per raccogliere fichi.”

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Conclusioni

Dal 1980, l’America è degenerata dall’essere la più grande nazione creditrice del mondo all’essere la più grande nazione debitrice del mondo.

Ma grazie alla massiccia domanda artificiale di dollari e di debito pubblico resa possibile dal sistema del petrodollaro, l’America è in grado di continuare con le sue abbuffate di spesa, le mire imperialistiche, le guerre sconsiderate ed un deficit da record.

Chi vive in America oggi, sta vivendo personalmente la prova che avere la valuta più importante del mondo si traduce in un livello di vita più elevato rispetto alla maggior parte delle altre nazioni.

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Ad un certo punto della storia degli Stati Uniti, la più grande esportazione è stata una serie di prodotti manifatturieri, realizzati proprio negli Stati Uniti.

Oggi, il bene più esportato dall’America è il dollaro USA.
Ed il dollaro non costa praticamente nulla per essere creato.

Quanto tempo passerà prima che le nazioni del mondo realizzino che il dollaro è una truffa?

Invece di vedere i dollari come inutili pezzi di carta sostenuti da nulla (come dovrebbero fare), i produttori di petrolio stranieri ed i consumatori sono stati convinti – e tenuti – a detenere dollari USA per l’acquisto di petrolio fin dal 1970.

Tuttavia, questa domanda di dollari non è genuina. È puramente artificiale.

Il Dr. Bulent Gukay della Keele University la mette in questo modo:

“Questo sistema del dollaro americano in qualità di valuta di riserva globale nel commercio di petrolio fa sostenere un’alta richiesta ‘artificiale’ di dollari.

Questo permette agli Stati Uniti la stampa di dollari ad un prezzo quasi nullo per finanziare l’aumento delle spese militari e la spesa dei consumatori sulle importazioni.

Non vi è alcun limite teorico alla quantità di dollari che possono essere stampati.

Fintantoché gli Stati Uniti non hanno nessuno sfidante serio, e gli altri Stati mantengono la fiducia verso il dollaro USA, questo sistema continuerà a funzionare.”

Presta particolare attenzione al commento del Dr. Gukay riguardo ai “seri sfidanti” verso gli Stati Uniti.

E mentre l’economia mondiale continua ad evolversi, tutta una serie di valute concorrenti emergeranno per sfidare l’attuale egemonia del dollaro.

Infatti, tale evoluzione è già in corso.

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Che cosa significa tutto questo per te?

In sostanza, aspettati altre perpetue guerre contro nemici senza volto e senza nome, come la Guerra al Terrore.

Aspettati che il teatro di questi conflitti prenda convenientemente scena nell’Asia occidentale – dove la maggior parte delle riserve mondiali di petrolio giacciono in attesa dei loro ‘liberatori’ occidentali.

Quando si ‘segue il denaro’, tutto comincia ad avere molto più senso.

 

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PROSSIMAMENTE la quarta ed ultima parte: La Guerra in Afghanistan ed il Nuovo Grande Gioco. Leggilo qui!

Ringrazio l’autore, Jerry Robinson, per la gentile concessione di ripubblicare il suo articolo. Per informazioni: FTMDaily.com.

"PRIMA DI INVESTIRE IN ORO" 6 verità che ti hanno sempre nascosto

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Yari

Yari ha un background tecnico-scientifico e fa parte del team di Ricerca e Sviluppo (R&S) della DeshMember. Lavora su ricerche storiche e statistiche in ambito economico e finanziario e, oltre che studiare la scuola economica austriaca, si premura di riportare in lingua italiana contenuti di grande valore disponibili in lingua inglese.
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10 risposte

  1. Questa sì che è informazione!!! Complimenti e basta. Ma se L’America è stata capace di fare una guerra ad una nazione produttrice di petrolio che voleva uscire dal sistema del petroldollaro, anche come avvertimento alle altre nazioni che volessero uscire da tale sistema, allora tutti gli stati che si rifiuteranno di pagare il petrolio in dollari sono e saranno “potenzialmete” a rischio invasione Yankee?..Forti di questo accordo, idealmente gli Stati Uniti hanno la possibilità di stampare tutti i dollari che vogliono fino all’ultima goccia di petrolio esistente sotto il pianeta terra, tanto per chi non rispetterà tale accordo sono previste invasioni militari di ogni tipo..Capisco che l’argomento è politicamente molto ma molto complesso però il mondo intero è legato a doppio filo a quest’accordo..Se oro e argento si rivaluteranno in base alla presa di coscenza del mondo intero circa l’insolvenza del dollaro Usa, i tempi per i rialzi si prospettano lunghi…Comunque veramente un bel lavoro.. grazie a questi articoli ho finalmente capito la vera correlazione degli interessi americani con il Medio Oriente e il petrolio..

    1. Ciao Stefano,
      grazie per il tuo contributo.
      Il processo di de-dollarizzazione è già in corso. Le ambizioni e progetti dei BRICS, gli accordi dell’Iran ed altri Paesi ad utilizzare valute che non siano il dollaro per i loro scambi commerciali… queste sono tutte tessere che si stanno mettendo in posizione per andare alla fine a completare il puzzle di un nuovo sistema monetario. Uno in cui il dollaro non avrà più i vantaggi ed il predominio che ha avuto negli ultimi 40 anni.
      Ti invito a rileggere un altro report che abbiamo pubblicato non molto tempo fa, lo puoi rileggere qui.
      Ritengo che la fine del sistema del petrodollaro non sia molto distante nel tempo. Ecco un articolo che spiega alcuni dei recenti accordi bilaterali tra Paesi che di fatto stanno ‘scaricando’ il dollaro come valuta di pagamento per gli scambi commerciali.

      Considera poi che l’utilizzo del dollaro non è solamente una questione di imporre con la forza il loro utilizzo ai paesi produttori di petrolio. I gravissimi problemi interni di tipo economico e finanziario che gli USA si trovano ad affrontare oggi e nei mesi che verranno andranno a porre fortissime pressioni sulla svalutazione del dollaro (e delle altre valute ‘fiat’ del mondo).
      Sono gli effetti di diversi aspetti all’interno degli USA e nel mondo esterno (di tipo economico, finanziario, politico, monetario, commerciale ecc.) che sommeranno i loro effetti ed accelereranno la fine del petrodollaro e dell’imperialismo americano.
      Non dimentichiamo per esempio l’insormontabile problema del mostruoso debito pubblico, diventato così grande anche a causa delle Guerre dei Petrodollari. Come faranno gli americani a sostenerlo e ripagarlo senza distruggere il dollaro?

      1. Ciao Yari…la tua risposta amplia l’orrizzonte anche alle problematiche politiche ed economiche che gli Usa hanno al loro interno e che inevitabilmente andranno a sommarsi agli enormi costi di gestione per mantenere intatta l’egemonia del Petroldollaro…Grazie per i link del Blog che mi ha mandato che riportano il medesimo argomento..forse mi erano sfuggiti..andrò a leggerli al più presto..Grazie.. Ciao Stefano

  2. Ineccepibile, chiaro, lineare. Per chi non conosce queste cose, immagino possa essere molto d’aiuto.

    Venendo al discorso sul dollaro, è di questi giorni la notizia di una possibile autorizzazione allo Yuan per entrare negli SDR: quanto è realistico tutto ciò e, vivendo in un periodo dove il flusso di dollari sta diminuendo, davvero gli USA lo permetteranno?

    1. In questo giro i cinesi si sono intascati un bel 2 di picche.

      Il motivo mi pare fosse instabilità dei mercati (Shanghai?) e instabilità della valuta (!!!).

      Vedremo se riusciranno ad entrare negli SDR l’anno prossimo.

      Ovvio che gli USA escoditeranno di tutto per impedirlo.

  3. Gheddafy voleva vendere petrolio in cambio di oro per il “dinaro” africano. Solo che questa volta l’attacco alla Libia anche per parte francese e’ stato sentito come un attacco ai popoli del mediterraneo. La memoria e’ indelebile e aspetta giustizia.
    Attenzione! Gli USA sono diventati per tutto l’Occidente e anche per l’Europa i proprietari dei Big Data che sostengono internet: l’affrancamento dall’Impero passa dalla consapevolezza di dover ripensare internet per ridimensionare il predominio degli USA.

  4. grazie per aver riportato nuovo materiale che porta un sacco di carne al fuoco.
    L’unica cosa che mi preoccupa è che questi signori, non hanno alcun tipo di scrupolo. Sarebbero capaci di vendere la propria madre pur di godere dei benefici del dio denaro.
    Nel sacrificare Migliaia di vite umane di persone innocenti hanno già ampiamente dimostrato quanto siano bravi e di quanto, grazie a loro, ormai la vita di un uomo, nell’ondata di violenza che hanno inaugurato, conta meno di zero.

    L’autore non si è spinto troppo oltre, è rimasto nel limite del facilmente dimostrabile.

    Ma ci sono spunti quali l’11 settembre, la polveriera mediorientale, il terrorismo ed il fatto che i piani siano sempre pronti da molto tempo prima che un presidente s’insedi e che questi vengono seguiti a prescindere dal candidato eletto e del partito di provenienza, che meriterebbero ampia trattazione. Ma non è questo il luogo.

    Grazie per il lavoro svolto!

    1. Grazie,
      per chiosare il tuo commento con una citazione:

      Questa è la giostra da far girare quando si vuole tenere in piedi un impero.

  5. Come mai le nazioni dell’Euro hanno appoggiato gli USA e la loro politica dei petrodollari andando anche loro in Iraq?

    1. Ciao Ivano,
      non servo io per dire che dalla fine della 2a guerra mondiale i Paesi europei sono stati alleati (ed in un modo assogettati) della supremazia americana.
      Con lo spostamento del baricentro dall’America verso l’Asia è arrivato il momento per l’Europa di riconsiderare la propria posizione come potenza mondiale.

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