ricchezza nel tempo

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La Nuova Via della Seta: vi spieghiamo cos’è

Il commercio è un gioco win-win, [in cui tutti vincono] eppure più volte nella storia umana si è preferito optare per una svolta protezionista, mettendolo da parte.

La One Belt One Road Initiative è un progetto che vuole contrastare le tendenze protezioniste e deflazionarie dell’attuale ambiente economico, ma, in particolare per chi è digiuno di informazioni a riguardo, è difficile coglierne il carattere rivoluzionario.

In questo articolo, cercheremo di approfondire i fini di un ambizioso progetto con radici in millenarie.

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La più grande scoperta dell’umanità, a livello economico, è di certo il commercio.

Lo scambio di merci di diversa natura, è difatti l’unico elemento contemplato dalla teoria economica incapace di deludere le attese.

Esso, infatti, permette, attraverso lo scambio di beni, la soddisfazione di bisogni specifici che altrimenti, a causa della loro carenza, rimarrebbero insoddisfatti.

Questo, in breve, permette non solo il miglioramento delle condizioni di vita dei soggetti coinvolti ma dà origine a nuovi bisogni, nuovi stimoli e perciò all’evoluzione della società.

Con l’elezione di Trump, alla già pressante deflazione che minaccia le strettamente interconnesse economie di mezzo mondo, si è affacciata una nuova minaccia per il commercio internazionale: il protezionismo.

Storicamente, scelte protezioniste non hanno mai portato a nulla di buono in quanto comportano il prediligere la solitudine e l’egocentrismo alla cooperazione.

In termini economici, significa preferire l’industria nazionale agli accordi commerciali ed ai trattati internazionali.

Per invertire la rotta e riavvicinarsi ad un mondo aperto al commercio ed in grado di guadagnare investendo sul proprio futuro anziché sulla sua distruzione, la Cina, nel lontano 2013, ha proposto l’attuazione del progetto One Belt One Road: un mastodontico piano economico equiparabile per dimensioni a ben 12 volte il famoso Piano Marshall attuato nel dopoguerra.

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Le origini della Via della Seta

La Cina, nell’antichità, si è spesso rivelata una fucina di popoli dai livelli di civilizzazione sorprendenti, i cui traguardi in campo scientifico, manifatturiero o militare risultarono spesso più prestigiosi di quelli europei: dall’Oriente proveniva la carta utilizzata a Roma, la polvere da sparo impiegata dai Mamelucchi, svariate spezie acquistabili a Venezia ed una fra le merci più preziose: la seta.

Da quest’ultima venne in seguito coniato il nome del tragitto percorso da mercanti europei e medio orientali, per giungere nella terra del Dragone fin dal medioevo.

La Via, però, era già attiva da circa 1500 anni in quanto di commerci tra Europa continentale ed Estremo Oriente, se ne ha notizia fin dalla Dinastia Han (200 a.C.-220 d.C.), contemporanea dell’ultima fase della Repubblica Romana (146 a.C.- 31 a.C.)  e dell’Alto Impero Romano (31 a.C.-284 d.C.)

Di una sua progenitrice, la Via Reale di Persia, sia ha notizia dal 400 a.C. quando, nella figura di  Alessandro Magno, Mediterraneo ed Indie si incontrarono per la prima volta.

Alla luce di ciò, i viaggi di Marco Polo narrati ne “il Milione” risultano non spedizioni di scoperta, – come furono quelli di Colombo nelle Americhe – ma delle ambasciate che aiutarono i già millenari legami fra i due continenti a riallacciarsi.

In ogni sua versione, dalle più primitive a quelle medioevali, la Via della Seta non ricoprì solo un ruolo puramente economico, ma anche culturale: arte, idee, usi e costumi percorsero in entrambi i sensi il reticolo di quasi 8000 chilometri che garantì, quando percorso, periodi di pace e ricchezza.

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La Nuova Via della Seta

Solo un anno fa, eravamo arrivati sul punto di soccombere ai trattati Trans-Pacifico (TTP) e Trans-Atlantico (TTIP) stilati da mano statunitense. Trattati sul libero scambio altamente iniqui che, nonostante le pressioni dall’alto, le istituzioni fondamentali dell’Unione sono riuscite (stranamente) a disinnescare.

La caratteristica fondamentale di TTP e TTIP era quella di essere talassocentrici cioè avevano il proprio baricentro non sulla terra ferma ma negli oceani Pacifico ed Atlantico. Secondo i redattori dei trattati le vie marittime si prestavano ad essere ideali vie di trasporto a basso costo e che la maggior parte del globo la pensasse allo stesso modo.

In verità, un’impostazione del genere sarebbe stata schifosamente vantaggiosa per chi avesse potuto minacciare di vietare l’accesso a queste vie di comunicazione a marine mercantili o militari: ostruendo il passaggio a Suez come a Panama, a Gibilterra come ad Ushuaia, nel corno d’Africa come nel Mar Cinese Meridionale, al primo sentore di antipatia per qualche nazione, la mano del più forte sarebbe sempre stata pronta a staccare la spina al motore del commercio internazionale.

Ovviamente, l’unica marina militare capace di dominare i sette mari in lungo ed in largo è, ad oggi, quella statunitense ed i benefici della più che originale interpretazione del “libero scambio” contenuta in quei trattati, sarebbero stati tutti avidamente goduti dal solo Zio Sam.

La One Belt One Road consiste invece, come vuole la sua millenaria tradizione, in un progetto geo-centrico.

Esso non è neppure condizionato da un baricentro contenuto in una nazione o in un gruppo di nazioni.

Il punto di forza del progetto è il varcare i confini dei Paesi interessati sfruttando molteplici vie di comunicazione sia terrestri che marittime, affinché tutti abbiano interesse a garantire alle merci il transito più efficiente possibile.

L’OBOR, infatti, si diramerà in due progetti paralleli: la Via della Seta marittima e quella terrestre.

Ecco i percorsi che, secondo il Wall Street Journal, seguirà la Via della Seta una volta completata.

La prima servirà a collegare i porti affacciati nel Mar Cinese meridionale al Mediterraneo attraverso Suez giungendo fino a Venezia o Trieste, la seconda si scorporerà in sei diversi corridoi che dalla Cina giungeranno in India, Russia, Pakistan, Turchia, Iran e sud-est asiatico.

Qualcuno, come è probabile, affermerà che dalle fauci di una belva (USA) saltiamo in quelle di un’altra (Cina) e che il rischio di volatilità dei cambi ed i problemi linguistici, burocratici e di intermediazione nei commerci siano insormontabili.

Come scritto in precedenti articoli, questi sono tutti punti di un elenco che sono già stati affrontati e sono ad oggi in via di risoluzione.

La Cina è un paese esportatore netto che ha tutte le ragioni per voler salvaguardare il libero commercio. Non solo, è anche primo importatore di petrolio ed idrocarburi, tanto che lo rende un attore ricattabile e senza incentivi particolari nel cercare rapporti conflittuali coi suoi fornitori, tutti tra l’altro molto distanti dai suoi confini.

La volatilità dei cambi e l’accentramento del potere monetario verranno superati dall’adozione di una qualche forma avanzata di Gold Standard (preceduto dal Petro-Yuan), quelli burocratici da una convergenza delle legislazioni, quelli linguistici da una convivenza di idiomi ufficiali nel campo del business come fu per il Latino, il Greco antico o il Persiano, i problemi di intermediazione dall’adozione più che probabile di una forma più evoluta della blockchain odierna.

La One Belt One Road è più che un progetto infrastrutturale: è una titanica impresa burocratica,  monetaria, tecnologica e sociale che coinvolge nel suo stato embrionale già sessanta nazioni fra avanzate ed in via di sviluppo e che fa impallidire ogni tipo di accordo militare o economico che gli USA hanno sbandierato fino ad oggi.

E non stiamo parlando di fantascienza: dal polo di Mortara, Pavia, il primo treno merci europeo è già partito alla volta della Cina. Con l’obiettivo di consegnare le sue merci con ben 40 giorni d’anticipo rispetto ad una nave mercantile.

Come da copione, ci sono e ci saranno frizioni fra i vari partecipanti, come appena accaduto con Pakistan e Nepal, ma non si può resistere a lungo alla possente ondata del cambiamento.

Quel che la Storia ci insegna è che se la ricchezza la si crea e si dà a tutti l’opportunità di attingerne, motivi che alimentino odio razziale, radicalizzazione o il farsi la guerra, si fa davvero fatica a trovarne.

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Una risposta

  1. In effetti anche nell’antichità la vera capacità di coesione di una grande Potenza stava nel commercio e nella cultura, più che nella forza bruta.
    Roma unifico ‘ il mondo antico più con i ponti e le strade che con le sole legioni.
    L’Impero di Attila, costruito solo con il terrore degli Inni, si disgrego’ in appena una generazione, senza quasi lasciare tracce.
    Una lezione che l’Occidente attuale, soprattutto il suo cuore pulsante, sembra avere dimenticato.
    Temo che le conseguenze non saranno piacevoli per chi confida nella speranza che tutto possa tornare come qualche decina di anni fa, quando l’intera economia mondiale si reggeva intorno al sistema Atlantico.

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