ricchezza nel tempo

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Ricordi della corsa all’oro nel Klondike… (1897)

Qualche tempo fa, tra le mie ricerche mi sono imbattuto in antichissimi pezzi di giornale del quotidiano La Stampa.

Sono pezzi di giornale pubblicati nel lontano 1897 (questi testi oltre ad avere più di 100 anni, costituiscono anche un pezzo di storia giornalistica Italiana).

Il 1897 è passato alla storia come uno degli anni della corsa all’oro nel Klondike e nello Yukon, due fiumi che si trovano rispettivamente tra il nord del Canada e l’Alaska.

Come riporta Wikipedia:

La Corsa all’oro del Klondike, talvolta chiamata anche Corsa all’oro dello Yukon, è stata un periodo di febbrile migrazione di lavoratori in aree nelle quali si verificò la scoperta di notevoli quantità di oro sfruttabili commercialmente.

Questa foto ritrae solo uno degli enormi sacrifici che i minatori dovettero fare per raggiungere Dawson City, la cittadina dove gettarono la base la gran parte dei ricercatori.

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Infatti per poter arrivare a Dawson City, i ricercatori erano obbligati ad attraversare il passo di Chilcoot.

Una scalata infinita che poteva essere fatta solo in pochi mesi dell’anno perchè per la gran parte del tempo la montagna era praticamente inagibile.

Si narra che molti aspiranti minatori non abbiano mai raggiunto Dawson perchè risucchiati da una delle numerose valanghe.

Se guardo razionalmente a quel momento storico, resto stupefatto dalla forza che ebbero migliaia di uomini.

Persone che tenendo stretto un sogno fra le mani, furono disposte ad affrontare montagne innevate, fiumi freddi e tutt’altro che docili, il gelo dell’Alaska, il Far West di una cittadina senza Legge e senza regole.

Era la fame di ricchezza a motivare queste persone?
Sarà stato il forte desiderio di ritornare a casa e dire “ce l’ho fatta“?
O sarà stato altro?

La realtà è che molti minatori morirono in quell’esperienza.
Molti per mano della natura, altri per mano dell’uomo.

Infatti la cittadina di Dawson, sopratutto nei primi tempi della corsa all’oro, era senza Legge. Un completo far west.

Chi arrivava per primo su un pezzo di terreno, ne acquisiva la concessione.
Ci sono stati molti morti di cui non si è mai trovato l’uccisore.

Le persone venivano ammazzate perchè la loro concessione era troppo ghiotta e qualcun’altro avrebbe potuto rilevarla.

La storia narra anche di molti uomini che sono diventati milionari.
A quell’esatta epoca storica risalgono anche i racconti di Jack London.

Infatti, tra i molti a prendere parte alla corsa vi fu lo scrittore californiano Jack London. Questo signore ha lasciato alla storia libri come “Il richiamo della foresta” e “Zanna Bianca“.

Tutto influenzato dalla sua esperienza della corsa all’oro nel Klondike.

E’ affascinante studiare la storia del rapporto che l’uomo ha con l’oro.

Mi sono spesso domandato come deve essere stata l’esperienza dei minatori che hanno vissuto quel periodo. Mi sono anche chiesto cosa riportavano i giornali di quell’epoca e cosa raccontavano i giornalisti.

Se anche tu sei interessato a rivivere alcuni momenti di quel passato, questo è il regalo più bello che potessi farti.

Sali sulla macchina del tempo insieme a me. Ti porterò a fare un viaggio nel passato.
Leggerai delle righe scritte oltre 100 anni fa.

Sì perchè dai vari pezzi di giornale di La Stampa, ho individuato gli articoli che parlavano della corsa all’oro nel Klondike e li ho riscritti qui per te.

Purtroppo alcune parti del giornale sono oramai incomprensibili, per questo mi scuso se la traduzione a volte non è molto lineare.

Per la precisione sono 3 diversi pezzi di giornale.
Su ogni articolo trovi il titolo originale e la data esatta di pubblicazione.

Buon viaggio…

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Nel regno dell’oro

La Stampa, Mercoledì 01/07/1897   – pagina 2 –

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Ci telegrafano da Londra. Si ha da Nuova York, che col piroscafo Portland giunse a Los Angeles (California), un piccolo drappello di minatori reduci dai campi auriferi di Klondike, nell’Alaska, recentemente scoperti.

Portavano con sè oro per il valore di 100,000 dollari.

Narrano cose sbalorditole della ricchezza mineraria di quel paese o parlano di vene d’oro che si stendono in ogni direzione.

Non sembrano confermare i terrori e le privazioni che dicono avere provato in quella regione gli avventurieri che primi ne avevano fatto ritorno.

Parlano pure di una splendida scoperta d’oro a Monnet Creole, a 500 miglia dalle foci del Yukon e fuori dei confini dell’ America britannica.

Asseriscono che là la ricchezza superi quella del Klondike.

Siccome taluno chiedeva come mai recassero oro soltanto per il valore di 100,000 dollari, il capitano del Portland dichiarò di essere stato costretto a lasciare St-Michael prima dell’ arrivo dell’ imbarcazione recante il tesoro sullo acque dell’Yukon.

Si afferma che le 600 concessioni di terreno già fatte nella regione del Klondike renderanno 70 milioni di dollari (350,000,000 franchi) ai loro proprietari.

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Le miniere aurifere DELL’ALASKA

La Stampa 06/10/1897 – pagine 1 e 2 –

articolo 1897 La Stampa su corsa all'oro nel Klondike

Gli arditi minatori provenienti dal Klondyke, nell’Alaska, confermano ormai in modo non dubbio l’impareggiabile ricchezza di quei campi auriferi.

(n.d.r. pezzo iniziale di questo paragrafo incomprensibile)… il Portland riconduceva agli Stati Uniti 64 minatori che si erano fermati tre mesi soltanto nel Klondyke: il meno favorito dalla sorte portava con sè 150,000 franchi; i più felici 750,000.

In un suo viaggio posteriore lo stesso piroscafo raccoglieva 100 minatori, i quali recavano 15 milioni d’oro.

Il Governo russo non avrà certo appreso tali fatti senza molto rammarico per la buona fortuna che si lasciò sfuggire di mano.

Il 28 marzo 1867 la Russia aveva infatti ceduto agli Stati Uniti, mediante un compenso di 30 milioni di Lire, il territorio dell’Alaska e l’America russa, abitata soltanto da 35 mila indiani, ma vasta quanto otto volte l’Italia.

Fu Soward, segretario di Stato della grande Repubblica americana, che negoziò l’acquisto, mirando anzitutto ad opporre a quell’estremità nord-ovest del continente un barriera alla estensione con il Canada.

La sua idea era giusta, l’affare era buono, ma non lo si comprese dapprima negli Stati Uniti.

L’opinione pubblica americana si mostrò poco favorevole a questo nuovo accrescimento di territorio, composto da rocce e ghiacci; Seward venne violentemente accusato di trascinare il proprio paese in una disastrosa speculazione.

Soltanto ora gli americani si avvedono di aver fatto un affare d’oro — è la parola giusta.

Limitato al nord dall’Oceano glaciale e dallo stretto di Behring, all’ovest dal mare di Behring e dal Pacifico, l’Alaska è diviso, a mezzogiorno, dal Canada per mezzo del monte Sant’Elia e da altre montagne male esplorato.

Poiché, sotto il regno di Pietro il Grande, si apprese che l’America era divisa dall’Asia da così breve distanza, che la si poteva facilmente percorrere in canotto, per lo stretto di Behring, i russi cominciarono a spingersi in quell’estrema punta dell’America nord-ovest per cacciarvi gli animali dalle ricche pellicce.

Si spinsero tanto oltre, verso il sud, che finalmente incontrarono gli avamposti della Compagnia inglese della baia d’Hudson; un trattato concluso nel 1821 assegnò allora i limiti allo due Compagnie rivali.

La presenza dell’oro nelle regioni semipolari dell’Alaska e della Colombia Britannica fu accertata, per la prima volta, quarant’anni or sono.

Nell’aprile 1858 corse voce a San Francisco che si fossero scoperti giacimenti d’inaudita ricchezza sulle rive del fiume Fraser, nella Colombia Britannica e a cento miglia dall’Oceano Pacifico.

Le teste non tardarono a riscaldarsi, non si parlava più che delle miniere del Fraser. Tutti i piroscafi disponibili si annunciavano in partenza per i nuovi luoghi; un esercito di minatori scendeva a San Francisco per imbarcarvisi.

Si potè credere, per un istante, che la California fosse spacciata.

Dal 20 aprile al 1 agosto partirono 23,428 emigranti; migliaia d’altri, maledicendo l’avversa fortuna, cercavano di far danaro di tutto per seguire i primi.

A San Francisco regnava il panico; si considerava la città quale rovinata.

Lo scettro del Pacifico stava per passare fra le mani di Victoria City, metropoli della colonia inglese. In tre mesi, il valore delle proprietà scese del 50%; un grande caseggiato, il Blythea Gore, fra le vie Market e Geary, per cui erano state offerte, nel 1876, L. 7,500,000, furono rifiutate dal suo proprietario, non trovava più compratori per L. 150,000.

Quattro mesi dopo, i minatori erano completamente disingannati sulle sognate ricchezze del Fraser e tornavano indietro, dopo avere nella disgraziata impresa sciupati circa quarantacinque milioni.

Soltanto un piccolo numero di minatori non fece ritorno.

Spingendosi sempre più avanti, formarono l’avanguardia di quegli arditi pionieri che si avventurarono nelle solitudini ghiacciate dell’Alaska, vi scopersero oro e tennero celata la scoperta.

D’altra parte erano poco numerosi ed assai lontani gli uni dagli altri.

Cassiar Bar, il più ricco campo aurifero allora conosciuto, sul corso superiore del Yukon, era pressoché inaccessibile; non vi si spediva e non vi si riceveva che un corriere ogni sei mesi.

Appena nel 1885 si seppe che i rari minatori che vi lavoravano ne traevano ciascuno fino a 150 lire al giorno, che sul fiume Stewart il reddito raggiungeva le 500 lire; di lì i placers, i quali non producessero che una media di 70 lire giornaliere erano abbandonati come improduttivi.

Nel 1892 i fatti si precisarono ; il pubblico ne fu scosso.

Non si contavano allora che 250 minatori circa, disseminati nella vasta regione aurifera lungo la frontiera che separa l’Alaska dal Canada.

Tuttavia l’amara esperienza fatta coi placers del Fraser rendeva ancora diffidenti. Per provocare l’esodo attuale di minatori non occorse meno che la rivelazione della scoperta dell’oro in sei fra i grandi affluenti del Yukon, e il risultato della spedizione del « Bonanza Creek, » che produsse subito 15 lire d’oro puro per piatto di melma aurifera.

Stante la estrema scarsezza della popolazione e le difficoltà straordinarie del suolo, l’emigrazione si fece assai lentamente.

Per giungere ai campi del Klondyke bisogna recarsi non lungi dallo stretto di Bhering e di là risalire il fiume Yukon, che è la grande arteria la quale dà accesso a quella regione.

Di inverno è assolutamente chiuso alla navigazione, a motivo dei ghiacci, l’estate non dura in quella latitudine più di tre mesi.

Ma allora un impareggiabile panorama si svolge dinanzi agli occhi. Le rive si caricano di fiori, le pianure verdeggiano di muschio; innumerevoli uccelli d’una infinita varietà di piuma popolano alberi ed arbusti.

Si trascorrono catini di rose canine, di papaveri, di campanelle, dominate all’orizzonte dai candidi ghiacciai.

Il minatore che si reca ai campi auriferi sa di dover percorrere un territorio deserto, che misura in lunghezza tre volte l’Italia: sa che, giungendo al termine del lungo viaggio, non troverà ne viveri, ne arnesi, ne abiti, ne case.

Deve pertanto portare con se quanto gli occorre per otto mesi almeno, cioè 500 libre di farina, 100 di siginoli, 100 di maiala salato, 10 di thè, 100 di zucchero, 30 di caffè 150 di conserve di frutti cotti, di sale, di pepo, d’utensili di cucina, il tutto può costargli 500 franchi; il trasporto, se ricorre all’aiuto degl’indiani, gli costerà 75 franchi ogni 100 libbre.

Inoltre occorrono arnesi del mestiere, tenda, medicinali, abiti.

Per questi ultimi, i minatori adottarono il costume degli indiani: grandi stivali in pelle di foca: calzoni in pelle di marmotta o di daino; la parta, o pelliccia di marmotta o lince con cappuccio.

Un buon parka fabbricato dagli indiani non costa meno di 100 franchi.

Così vestito o provvisto, l’emigrante del Klondyke si reca ad affrontare i rigori di un inverno polare e lavorare talvolta nell’acqua fino al ginocchio, lungo gli affluenti ghiacciati dello Yukon.

Per ovviare alle difficoltà del viaggio, un ingegnere intraprendente, Leo Stevens, fece costruire un pallone per trasportare dal Tiiko-Pass, nell’Alaska, ove cominciano le difficoltà più gravi, i passeggeri a destinazione del Klondyke.

Trovò associati, commendatari, azionisti e viaggiatori.

Si propone di trasportare da 8 a 10 persone per ascensione, come pure da tre a quattro tonnellate di merci.

Da Tilko-Pass alle miniere del Klondyke la distanza da percorrere è di 157 miglia, con lo Stevons ritiene si possano percorrere in 6 o 7 ore, con una brezza favorevole.

La Compagnia, che ha nome The Jacobs transportation Company, ha già un pallone pronto per partire; se i risultati saranno incoraggianti ne fabbricherà altri ancora.

Là, nelle terre fangose portate dai ghiacciai, nei torrenti alimentati dalle alpi del monte Sant’Klio, situato più al sud, si trova l’oro in polvere o in pezzi.

Lunghe ed ampie morene orientate verso il nord attestano che l’oro proviene dal sud, da vene di quarzo squarciate dai ghiacci e disgregate dai torrenti; le acque lo trasportano ai piani.

Perciò i minatori, per quanto lavorino per essere ricchissimi, sempre sono travagliati dall’idea di giacimenti di maggior reddito.

La loro idea è questa: che nei picchi minacciosi del monte Sant’Elia debbano esistere rocce d’oro massiccio, là su quelle cime quasi inaccessibili, coperte d’eterne nevi.

Queste idee hanno un fondo di verità, riconosciuto da tutti gli scienziati che studiarono sul luogo la questione: campi auriferi anche più ricchi di quelli del Klondyke hanno da essere scoperti nelle alture del monte Sant’Elia.

La produzione dell’oro, che raggiunge attualmente la somma di circa 777,7 lire annue, deve accrescersi ancora, grazie all’ardito piccone dei minatori dell’Alaska.

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Le ricchezze delle miniere d’Alaska

La Stampa  Sabato 09/10/1897 – pagina 2 –

Ci telegrafano da Londra, ore 13,20: La Casa Rothschild aveva mandato l’ingegnere Bratuober, perito minerario, ad esaminare i campi auriferi del Klondike e riferirò in proposito.

Il Bratnober, proveniente dalla valle del Yukon, è giunto a Takoina (Stati Uniti) da dove è partito per far ritorno in Inghilterra.

Interrogato sui risultati della sua ispezione, si dichiarò attonito dell’abbondanza dell’oro nella regione del Klondike.

Le voci che corrono sulla sua immensa ricchezza non sono per nulla esagerate. Ritiene che non tutti i campi auriferi del luogo siano ancora stati scoperti, e che occorreranno anni ed anni per esplorarli completamente.

— FINE —

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Roy Reale

L'intera storia della scienza è stata una graduale presa di coscienza del fatto che gli eventi non accadono in un modo arbitrario ma che riflettono un certo ordine sottostante. E' mia ferma convinzione che questo ordine sia presente anche nei mercati finanziari. Ciò che mi muove sono la sete di verità e la voglia di andare a fondo nell'approfondire il codice che dà ordine ai mercati.
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Una risposta

  1. o saputo della corsa alloro leggendo il fumetto tex viller e cosi o rivisto le scene,
    complimenti miè molto piaciuto. carlin

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