ricchezza nel tempo

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Il declino dell’Arabia Saudita è tutt’altro che lento

Nel precedente articolo, abbiamo parlato delle tensioni medio-orientali e di quale sia il minimo comun denominatore che, come un filo conduttore, si dipana tra i vari teatri di conflitto.

Più addietro ci eravamo focalizzati sull’inedito avvicinamento fra Russia e Arabia Saudita e di come la monarchia saudita fosse ad un bivio: rinnovare l’alleanza del petro-dollaro allineandosi con Trump o incamminarsi per il nuovo sentiero sino-russo dei futures yuan-oro.

Ebbene, il caotico evolversi degli eventi ha portato alla luce una più cruda realtà per i reali sauditi: alla disperata ricerca di ossigeno, il re ed il suo erede annaspano tra le correnti vorticose di un potere autoritario che gli sta sfuggendo di mano.

Proviamo a dare un senso agli avvenimenti dell’ultimo mese, in quel di Riad.

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L’Arabia Saudita, come sappiamo, è un’autorità indiscussa della regione arabica ed i suoi legami con l’america, indissolubili da quasi un secolo.

Sin dagli anni ’30, durante la famigerata corsa all’oro nero, era stata certificata la presenza di immensi giacimenti di petrolio il cui sfruttamento se lo fece aggiudicare in fretta e furia dall’allora pionieristica compagnia Standard Oil, oggi colosso petrolifero statunitense.

Negli anni ’70, con la fine del sistema monetario di Bretton Woods, i sauditi e gli americani strinsero ulteriormente i loro legami, facendo nascere il così detto petro-dollaro.

Siccome non è questa la sede in cui approfondiremo la nascita delle fortune saudite, per chi ne volesse sapere di più sull’argomento può trovare ottimi spunti nelle passate pubblicazioni del nostro blog, cliccando qui.

Tornando a noi, al giorno d’oggi, la situazione arabica è ben diversa.

La leadership statunitense non è più solida come quella d’un tempo – complici la situazione economica in cui versa il paese a stelle e strisce e le discutibili decisioni prese nello Studio Ovale – e come il leader, anche gli alleati risentono acutamente della sua debolezza.

Sfruttando la sfida indipendentista – in termini economici – lanciata agli USA da Russia e Cina, numerosi paesi della regione sono tornati alla ribalta con l’obiettivo di far pagare ogni conto lasciato in sospeso a quelli della vecchia guardia.

L’Iran, l’Iraq, la rediviva Siria, la Giordania, l’orgoglioso Egitto e l’assolutista Turchia, in questi ultimi due anni hanno stravolto il caotico equilibrio voluto da Washington al fine di scoraggiare ogni tentativo di aggressione al petro-dollaro.

Le pressioni di questi Paesi – di tipo diplomatico, economico e militare – sono ora fortissime e minacciano i diretti interessi sauditi e statunitensi che consistono, in breve, nel mantenere il dollaro la valuta di riserva globale, sostenuto dalla crescente domanda di petrolio.

Cosa accadrebbe se il dollaro fosse abbandonato dagli esportatori di petrolio e l’Arabia non fosse tra questi?

Una drastica svalutazione del biglietto verde ed il valore di centinaia di miliardi di dollari custoditi nei gonfissimi conti della famiglia reale – già indebitata fino al collo per le sue folli spese ed i bassi prezzi del petrolio mantenuti negli anni scorsi – rischierebbe di sciogliersi come neve al sole.

Il problema è appunto questo: la famiglia reale, gelosa del potere indiscusso che conserva da più di 60 anni, non ha la minima intenzione di rivedere le sue abitudini, i suoi eccessi, i suoi schemi di potere.

Si tratta della più semplice forma di conservatorismo, ossia di resistenza al cambiamento.

Qui in DeshGold, siamo i primi ad affermare che il mondo e tutto ciò che compone le nostre vite, inevitabilmente, cambia: i genitori invecchiano, i figli crescono, le mode passano, la ricchezza viene trasferita da un soggetto all’altro, le famiglie reali abdicano.

E’ una conseguenza della natura stessa delle cose.

I Saud non possono essere un’eccezione alla regola: lo stridio delle loro unghie che conficcano, pur di non essere deposti, nei marmi del palazzo reale risuona in tutto il globo.

E a ragione! Chi non lo farebbe, se fosse al loro posto? Chi non giocherebbe ogni asso nella propria manica pur di salvare il salvabile?

Ecco un riepilogo di quanto successo nello scorso mese e mezzo.

Al primo sentore di perdita di potere le tradizionali gerarchie familiari si sono dissolte; per legittimare la sua ascesa al trono, il nuovo erede al trono dei Saud ha deciso di intraprendere una massiccia campagna anti-corruzione – pratica comunissima da decenni nel paese – al fine di guadagnarsi la fama di giustiziere del popolo.

I progetti intrapresi dai sauditi per intimorire gli avversari internazionali, sono tutti falliti miseramente  : dallo Yemen vengono regolarmente lanciati missili che trivellano il suolo saudita, Assad, in Siria, è ancora saldamente al timone della nazione, il Qatar fatto passare come unico sponsor del dilagante terrorismo integralista è ora passato dalla parte di Russia, Siria e Iran.

I reali hanno provato a flettere i loro muscoli diplomatici recandosi a Mosca: promesse e memorandum sono stati redatti ma le generose concessioni fatte alla Russia sono passate come segni di debolezza, invece che di forza.

Aggiungetevi le difficoltà nel far quadrare il faraonico bilancio nazionale ed ecco come si vede la corona continuare a scivolare dalla testa del re e del suo delfino.

La situazione è così drammatica che la leadership del paese saudita è alla disperata ricerca di un nemico contro cui concentrare la propria propaganda e distogliere l’attenzione del popolo dalle difficoltà interne.

Distrazioni, o meglio, proiezioni di un nemico immaginario: ecco cosa sono stati lo Yemen – nella forma degli Houti –, la Siria, l’Iran ed il Qatar per l’Arabia e cosa rappresenta ora il Libano nella forma del partito militante Hezbollah.

Quest’ultimo, poi, scelto come nuovo capro espiatorio perchè acerrimo rivale di Israele: le probabilità di vittoria sono più elevate con un simile alleato al fianco ma la vittoria è tutt’altro che certa.

Infine, il 5 novembre sono state condotte da Tel Aviv le più estese esercitazioni militari di sempre; un documento diplomatico, invece, ha confermato l’unione delle forze militari e diplomatiche tra Israele e Arabia Saudita nel combattere ufficiosamente il Libano.

Quest’ultimo, poi, è anche orfano del suo Primo Ministro: Hariri si è misteriosamente dimesso pochi giorni durante una diretta sulla tv saudita e si sospetta essere prigioniero politico di Riad.

Preparatevi all’idea di un nuovo sanguinoso conflitto nel tribolato Medio Oriente.

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