[panel]
L’oro ha aperto la settimana a $1.387,40 e ha chiuso a $1.380,70.
Al Comex di New York i contratti futures sull’oro per consegna agosto sono quotati a $1.383,00.[/panel]
Questa settimana il metallo giallo aveva violato al rialzo l’importante soglia psicologica posta a $1.400,00. Venerdi’ ha ripiegato sui $1.380,00 dopo la diffusione dei dati relativi alla creazione di nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti.
Nel mese di maggio in USA sono stati creati 175.000 nuovi posti di lavoro contro le 159.000 unita’ attese. Il tasso di disoccupazione ufficiale (diffuso dal Dipartimento del Lavoro) si e’ attestato al rialzo, al 7,6% dal precedente 7,5%.
Da un approfondimento dei dati statistici riguardanti i nuovi posti di lavoro si evince che la maggior parte dei posti creati riguardano contratti di lavoro atipici (a tempo determinato e part-time), senza garanzie socio-assistenziali e a bassa retribuzione.
In effetti gli incrementi piu’ significativi hanno riguardato il settore dei servizi (il settore a piu’ basso tasso di produttivita’): da quelli professionali, ai bar e ristoranti, nonche’ il settore retail. Il comparto manifatturiero (il settore a piu’ alto tasso di produttivita’) ha invece accusato un calo di 8.000 posti di lavoro.
Non vi e’ evidenza di un recupero del potere d’acquisto delle retribuzioni. I salari medi ristagnano. La media oraria e’ salita di un misero centesimo di dollaro nel mese di maggio, a $23,89.
L’economia reale statunitense in realta’ e’ in netta contrazione. Nel mese di maggio l’indice Manifatturiero ISM e’ risultato essere pari a 49 punti, al di sotto della fatidica soglia dei 50. Violando al ribasso questo limite minimo l’indice Manifatturiero dimostra che l’economia a stelle e strisce, nel comparto a piu’ alto tasso di produttivita’ (quello manifatturiero), e’ in recessione.
Gli operatori dei mercati finanziari al contrario hanno intravisto nei dati diffusi dal Dipartimento del Lavoro, un miglioramento nelle condizioni di salute dell’economia americana. L’indice Dow Jones ha chiuso la settimana in rialzo a 15.248 punti, cosi’ come il Nasdaq che ha chiuso in rialzo a 3.469 punti. In rialzo anche il dollar index sulla scia dei risultati sui nuovi posti di lavoro creati.
La Borsa di Tokyo e’ entrata ufficialmente nel “mercato orso” (bear market) questa settimana. Ricordiamo che l’economia del Sol Levante e’ la terza a livello mondiale e il Giappone e’ uno dei partner commerciali piu’ importanti per gli USA. Questo lascia pensare che una crisi finanziaria in Giappone non tardera’ a riverberarsi anche sui mercati statunitensi.
L’indice Nikkei ha accusato una correzione di oltre il 20% rispetto al picco del 22 maggio. Venerdi l’indice azionario giapponese avrebbe potuto capitolare in maniera ancora piu’ drammatica se non fosse intervenuta la Bank Of Japan la quale ha acquistato sul mercato partecipazioni azionarie di ETF e fondi immobiliare (JReit) che erano in caduta libera.
Il piano di rilancio del ministro giapponese Shinzo Abe non ha convinto gli operatori. Il piano e’ basato su un tentativo di aumento dell’export giapponese, tagli sulle imposte alle aziende, deregulation e facilitazioni dell’attivita’ di fusioni e acquisizioni.
Da notare che la deregulation e l’attivita’ di fusione (merger & acquisition) sono proprio parte delle ricette che hanno causato la crisi economica mondiale, minando la competitivita’ globale (le acquisizioni e fusioni di fatto creano monopoli e oligopoli e non libera competizione in libero mercato; la deregulation ne e’ il diretto portato, in quanto per deregolamentazione si intende porre in essere politiche che non frenino il passo ai monopoli).
L’Abenomics (la politica economica del Ministro Shinzo Abe) per ora lascia a desiderare quanto agli effetti: il Ministro del Lavoro di Tokyo ha reso noto che in aprile gli stipendi sono aumentati per la prima volta da tre mesi. Ma l’aumento e’ fiacco, quasi gia’ logorato: si tratta di un miserevole 0,3% su base trimestrale.
Mentre gli stipendi stagnano e i tassi di produttivita’ arrancano, l’espansione monetaria del Giappone appare ormai incontrollabile: maggio 2013 e’ risultato essere il tredicesimo mese consecutivo di espansione con un aumento stratosferico del 31,6% rispetto a un anno prima e con un picco del mese a 159.160 miliardi di yen.
Il Paese del Sol Levante rischia la stagflazione ovvero quella situazione caratterizzata da basso tasso di crescita e alta inflazione. E’ dunque possibile che la politica di Abe ottenga quanto desiderato (ovvero un rialzo dell’inflazione). Ma in un contesto economico privo di crescita.
Desta preoccupazioni, sul lungo periodo, anche il rapporto debito/PIL del Giappone. Rispetto al 236% attuale esso potrebbe schizzare ben al di sopra del 300% con i tassi sui bond decennali volare verso il 5% dei rendimenti.
Una nuova tegola potrebbe cadere sui mercati nel breve termine: il rischio default dell’Argentina.
Alcuni fondi speculativi (vulture funds) hanno avanzato una class action contro il governo argentino per il mancato pagamento di alcuni bonds sovrani. Si attende il verdetto del Tribunale di New York.
I Credit Default Swap a sei mesi sui bonds argentini (strumenti di copertura creditizi non regolati – over-the-counter – mediante i quali un investitore paga una forma assicurativa per ripararsi dal rischio di fallimento di una terza controparte) sono saliti a 9200 punti, segno che gli operatori scommettono su un default a breve termine del paese.
A spaventare i mercati e’ anche la grave crisi che l’Argentina sta attraversando.
Si temono fughe di capitali all’estero con ulteriore grave svalutazione del pesos argentino (l’inflazione ufficiale e’ al 9%, ma alcuni istituti indipendenti la stimano attorno al 25%). Il Presidente Christina Kirchner ha dovuta adottare una misura estrema: il divieto di cambiare pesos nella valuta statunitense.
Al mercato nero del cambio un peso e’ scambiato contro 8,50 dollari contro una valutazione ufficiale del 5,29.
Un eventuale default dell’Argentina potrebbe innescare un contagio anche al Venezuela. Il paese e’ intrappolato in una difficile congiuntura di bassa crescita con un crollo delle entrate statali in relazione al monopolio del mercato del petrolio.
[divider]
Cali nell’attivita’ estrattiva aurifera dopo la recente discesa nelle quotazioni?
Il recente declino del prezzo dell’oro (-22%) potrebbe ripercuotersi in un calo accentuato dell’attivita’ estrattiva.
Dopo la discesa dei prezzi riscontrata nel 2007-2008 (-26%), la produzione calo’ del 9,4%. Le ultime trimestrali delle aziende del settore sono in forte contrazione; gli utili sono in caduta libera, addirittura peggio rispetto a quanto rilevato nel 2008.
Questo potrebbe forzare molte societa’ ad attuare drastici tagli all’attivita’ estrattiva e di ricerca e sviluppo di nuovi giacimenti al fine di recuperare redditivita’.
Attualmente le nuove imprese del settore (junior miners) versano in forti difficolta’ finanziarie e saranno costrette, giocoforza, a ridurre la produzione al fine di contenere i costi in crescita e ricavi in calo.
La recente correzione nei prezzi del metallo prezioso ha costretto sulla difensiva le compagnie. A livello globale la redditivita’ e’ sotto forte pressione e molte sono le societa’ che hanno annunciato tagli agli investimenti e alla produzione.
L’indice azionario del settore (Philadelphia Stock Exchange Gold and Silver index) l’anno scorso e’ crollato del 34,6% del suo valore. L’indice e’ tornato ai valori riscontrati alla meta’ degli anni ottanta dell’anno scorso.
L’attivita’ estrattiva inerente i metalli preziosi e’ un’attivita’ ad alta intensita’ di capitale. Le compagnie minerarie sono costrette a effettuare ingenti investimenti di lungo termine prima di riuscire a produrre utili.
Gli indici di redditivita del capitale investito (ROI – Return On Investment) e gli indici di redditivita’ del capitale proprio, nel settore minerario, sono in caduta libera.
Un forte calo riscontrato nelle quotazioni non puo’ non riverberarsi in modo negativo sulle attivita’ produttive. Questo condurra’ a un calo estrattivo pronunciato nei prossimi anni. Si riscontrera’ un calo nel lato dell’offerta che sosterra’ le quotazioni dell’oro negli anni a venire.
[divider]
L’india importa 162 tonnellate di oro in maggio
Nel mese di maggio, le importazioni di oro dall’India sono risultate nettamente superiori a quelle del mese di aprile anche se inferiori alla cifra stimata precedentemente dal Ministro delle Finanze, P. Chidambaran, che inizialmente aveva sbalordito gli esperti del World Gold Council e della Bombay Bullion Association.
“Il dato corretto per maggio, per le importazioni in oro, e’ di 162 tonnellate e non di 262 come asserito in precedenza”, ha riferito D.S. Malik portavoce del Ministro delle Finanze.
Gli indiani si sono avvalsi delle quotazioni in ribasso nel mese di aprile per fare incetta di oro. I cali sono coincisi con le festivita’ regionali e i consumatori hanno approfittato dei prezzi in diminuzione.
In aprile le importazioni avevano raggiunto le 142,50 tonnellate metriche con un rialzo spettacolare del 138% rispetto lo stesso periodo dell’anno precedente.
Le Autorita’ indiane stanno tentando di contenere l’import di oro al fine di riequilibrare la bilancia commerciale. Le importazioni in oro contano per circa il 6,7% del PIL.
Il Ministero dell’Economia indiano ha anche provveduto a innalzare il dazio per l’importazione, ma ora i funzionari del Dipartimento Economico sono restii a innalzare ulteriormente i dazi in quanto si teme un’impennata del contrabbando.
La Reserve Bank of India, sempre al fine di calmierare l’import di oro, potrebbe prendere in considerazione il varo di una misura che vieta ai gioiellieri di acquistare metallo prezioso sulla base di un deposito frazionale istituendo il pagamento in contanti direttamente alla consegna.