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USA vs Cina: chi ha il coltello dalla parte del manico?

Il momento giusto è adesso!

E’ questo che Cheng Fengying, un ricercatore del CICIR (China Institutes of Contemporary International Relations), ha esclamato in preda ad una febbrile eccitazione, al solo sentirsi domandare se il progetto di internazionalizzazione dello yuan intrapreso dal suo governo fosse fattibile.

Cerchiamo di valutare gli effetti dell’ormai prossima introduzione dei futures yuan-oro, avvalendoci dell’entusiasmo coinvolgente di analisti del settore.

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Che tempo fa oggi sul mercato del petrolio?

Il prezzo non è elevato, l’offerta eccede la domanda e la Cina è saldamente al primo posto fra gli importatori di greggio.

Ecco perché a Pechino, gli analisti gridano in coro che il momento è più propizio che mai.

Nella terra del Dragone, ormai si sà, gli sprovveduti si contano sulle dita di una mano: tutti paiono pienamente consci dei pericoli che comporta il portare avanti una mastodontica operazione come quella del petro-yuan.

Il deflusso di capitali e l’aumento dell’offerta di yuan sul FOREX [con conseguente svalutazione della stessa] sono entrambi percepiti come rischi concreti.

Tuttavia, come afferma ancora il nostro Cheng, la Cina è convinta che il gioco valga la candela:

Se non dovessimo introdurre ora quei futures, mancheremmo un’occasione d’oro: quella di essere “long”  [dentro il mercato] quando il ciclo si invertirà riportando la domanda ad eccedere l’offerta ed il prezzo del greggio a salire.

Ma quali sono gli effetti di questo progetto, se messo in pratica?

A rispondere questa volta è il direttore del Centro per la Globalizzazione e la Modernizzazione dell’Istituto cinese per il Commercio Estero, Wang Zhimin:

Il petro-yuan renderà più conveniente commerciare con il Renminbi piuttosto che in dollari, grazie proprio al collegamento esclusivo che vanterà con l’oro.

Se ci pensate, lo stesso sistema di Bretton Woods prevedeva il mantenimento degli equilibri fra economia reale e finanziaria attraverso l’inappellabile giudizio dell’oro, il quale costituisce ancora una sicura risorsa per l’umanità.

In soldoni, per strappare il primato al dollaro, sarà necessario trasferire l’equivalente di  600-800 miliardi di dollari [al giorno] dal sistema del petro-dollaro a quello del petro-yuan.

Cifre esorbitanti che, però, non è affatto improbabile raggiungere: da questo sistema tutto cinese, infatti, guadagneranno cifre faraoniche proprio quegli esportatori di petrolio che per primi sposeranno la causa del petro-yuan.

Come?

Che domande! Acquistando oro a prezzo di saldo.

Difatti, una volta che la domanda di oro incomincerà a salire, le valute di carta [fiduciarie], perderanno sempre più potere d’acquisto nei confronti dell’oro, tant’è che di metallo giallo se ne comprerebbe progressivamente di meno.

A chiunque, quindi, conviene saltare sul treno il prima possibile!

Su questo treno hanno già prenotato un posto Russia [con un faraonico accordo bilaterale con la Cina], l’Iran ed il Venezuela, quest’ultimo ormai prossimo al collasso e decisamente impaziente di vedere i petro-yuan librarsi in volo.

Se, dopo quanto accaduto negli ultimi anni, contiamo che anche Iraq, Egitto e Siria non storcerebbero di certo il naso nel liberarsi del cappio statunitense del dollaro, allora, nel gruppo dei volenterosi, metteremmo insieme una generosissima fetta dei più grandi esportatori di petrolio al mondo.

Ad eccezione dell’Arabia.

Già.

Proprio quell’Arabia che – impantanata in due crisi [una politica e l’altra economica] ed in due conflitti armati [in Yemen e quello ombra con l’Iran], nonché pronta ad infilarsi in un terzo [Libano] – altro non è che la chiave di volta dell’intero sistema del petro-dollaro.

Ora, ci trovassimo tutti nei panni statunitensi, non faremmo sonni tranquilli nel sapere che l’ultimo baluardo a protezione dell’egemonia economica a stelle e strisce, è un paese la cui famiglia reale – con la quale da inizio Novecento sono stati stipulati tutti gli accordi petroliferi della regione – sta vivendo la peggior crisi di potere mai attraversata nell’ultimo secolo.

E ancor meno se il nostro diretto avversario, la Cina, organizza al venerdì sera, sessioni di burraco proprio con membri della famiglia Saud.

In quest’ottica va inquadrato il primo viaggio oltre-oceano del presidente Trump in estate, in occasione del quale ha nuovamente comprato la lealtà del petrolio saudita per l’esorbitante cifra di 350 miliardi di dollari in armi e munizioni – un’offerta pari al 200% di quelle fatte da Obama durante il suo mandato –.

Come il petro-dollaro s’indebolisce, così fanno le economie occidentali, sorrette dai principi di quello stesso Sistema.

Tutto ciò getta gli USA e la loro valuta nel panico.

Finchè gli USA non rivedranno la loro politica estera, rinunciando al mondo unipolare a cui sono stati abituati per decenni, non ci sarà posto per loro. Per esser chiari: Russia e Cina, gettando le fondamenta per un nuovo mercato Euro-asiatico rifornito dalla Nuova Via della Seta, sono riuscite a minare le fondamenta dell’invalicabile egemonia statunitense.

afferma l’analista Randy Martin.

Il quale prosegue, dicendo:

Il mondo deve ora fare i conti con una superpotenza ai suoi ultimi giorni di vita, che esterna tutte le sue più nere paure servendosi di un atteggiamento militarmente ultra-aggressivo.

[…] tutto ciò può essere davvero pericoloso: costituisce senz’altro una minaccia per l’umanità intera.

La telenovela di Trump con Kim Jong-Un, le esercitazioni militari a ridosso dei confini sino-russi, la militarizzazione dell’Arabia Saudita, l’incoraggiare i nipponici ad abbandonare l’impostazione difensiva delle loro forze armate, il partecipare in teatri quali Libia, Siria, o l’africa orientale: tutti tentativi per militarizzare il contesto politico, estremizzando le reazioni dei leader ed approfittando della situazione siglando immensi contratti militari.

La ricetta è quella di sfruttare la politica della tensione lungo i confini nazionali dei propri avversari nella speranza che uno sproposito commesso da qualche grande attore – vedi Russia o Cina –  fornisca il pretesto ideale per muovergli guerra con la benedizione della comunità internazionale – cioè delle Nazioni Unite –.

Una tattica rivelatasi di successo svariate volte ma che, oggi, viste le capacità belliche, economiche [e di sopportazione] degli amici dello Yuan, può rivelarsi, per gli Stati Uniti, un’arma a doppio taglio.

Una situazione scomoda, in un duello.

Soprattutto quando, messa la mano sul fodero e fissato l’avversario negli occhi, scopri di non esser tu ad impugnare saldamente il coltello dalla parte del manico.

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