ricchezza nel tempo

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La Cina inaugura i futures convertibili in oro: scaccomatto agli USA?

Non siamo mai stati così vicini.

La fine del dollaro, nel giro di pochi giorni, non è più un argomento complottista da scantinato clandestino di periferia.

Prendendo spunto da una recente pubblicazione di William Enghdal, descriviamo l’impatto devastante che questi innocui futures avranno nel nuovo mondo multipolare: quello guidato da espansione, commercio e produzione di vera ricchezza.

Se credi sia impossibile, non fartene una colpa: in dieci anni di depressione economica guidata artificialmente, hai semplicemente dimenticato quali siano le dinamiche e la forza di un’economia vivace ed in salute.

…[i membri dei BRICS]  sono pronti per cooperare per promuovere efficaci riforme dell’economia internazionale e superare così l’eccessivo accentramento di potere assunto da un limitato numero di valute di riserva

Vladimir Putin – Conferenza annuale dei BRICS; Xiamen 5/09/2017

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Il 1944, come ben sanno i più assidui frequentatori di questo blog, è un anno cruciale nella storia del secolo appena trascorso.

Ne facciamo spesso riferimento perché in quell’anno, a Bretton Woods, venne sancita la parità fra dollaro ed oro, fissandola a 35 dollari l’oncia.

Questo evento, che può sembrare un tecnicismo da salotto intellettuale di metà Novecento, ha invece influenzato le nostre vite, e quelle dei nostri genitori, ad un punto tale che ancora oggi ne subiamo gli effetti.

Dichiarare il dollaro unica valuta al mondo convertibile in oro, è stato un evento simile a quello di un’investitura cavalleresca medioevale avvenuta al cospetto del mondo intero.

Gli Stati Uniti erano riusciti nel loro intento: realizzare grandi surplus di oro durante la Seconda Guerra Mondiale, accentrare il potere nelle loro mani, rendere la loro valuta la più desiderata di tutte ed arrogarsi il diritto di vendere i propri prodotti ad un’Europa in ginocchio.

Il sistema funzionò per quasi trent’anni, fino a quando l’eccessiva esuberanza nel ricorrere al debito pubblico non portò alla sopravvalutazione del dollaro.

In breve: vi erano troppi dollari in circolazione perché un’oncia d’oro ne valesse solo trentacinque.

Il pericolo che altre nazioni seguissero l’esempio della Francia di De Gaulle, la quale iniziò a rispedire al mittente i dollari di carta in cambio di puro oro, mise gli Stati Uniti di fronte al dilemma che affrontano le banche di oggi col contante: e se si presentassero tutti insieme a riscuotere l’oro?

La risposta breve è che gli USA avrebbero dovuto chiudere bottega prima del tempo.

A ritrovarsi in mezzo a questo gran casino fu l’amministrazione Nixon, a nome del quale procedette nel 1971 ad annullare temporaneamente la convertibilità tra dollaro ed oro.

La verità, è che non fu più ripristinata.

Il dollaro venne slegato dall’oro e nel giro di un paio d’anni accadde esattamente ciò che fino a poco prima pareva impensabile: il dollaro si svalutò, l’oro – finalmente libero di fluttuare – schizzò alle stelle ed il mondo intero conobbe un fenomeno tutto nuovo.

Vi chiedete quale?

Per la prima volta nella Storia, l’inflazione di un paese estero venne esportata in tutti gli altri, influenzando le sorti di ogni persona vivente.

Da allora, con l’arrivo delle carte di credito e dei conti correnti virtuali, il fenomeno è aumentato in modo esponenziale, alimentando bolle e speculazioni finanziarie che trovarono una temporanea valvola di sfogo solo con la crisi finanziaria del 2008, salvo poi tornare su livelli di sopravvalutazione perfino più alti di prima.

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La strategia cino-russa

E’ proprio a questa parte della storia che si ricollega la notizia, già accennata in precedenza su questo blog, dell’emergere di nuovi futures sul petrolio denominati in yuan – la valuta cinese – e convertibili liberamente in oro.

In termini naturalistici, l’evento non si discosta molto da uno tsunami finanziario.

A detta di molti analisti, tra cui William F. Enghdal, storico di lungo corso ed esperto di geopolitica, l’introduzione di un simile strumento è l’ultimo tassello utile a completare la strategia perseguita da Cina, Russia e dagli altri paesi componenti i BRICS, e che getta improvvisa luce su un disegno fino ad ora indecifrabile.

Sono passati ormai vari anni da quando la notizia secondo cui Russia e Cina stiano rimpinguando di decine e decine di tonnellate d’oro fisico le proprie casseforti, è diventata di dominio pubblico.

I perché di questa scelta, come detto, erano ancora ignoti.

La notizia fu infatti accolta con sufficienza, se non con scherno, da parte dell’elité finanziaria che fino a pochi mesi fa derideva gli investitori in oro definendoli degli inguaribili, ingenui nostalgici.

Ciò che non videro, o che più probabilmente sottovalutarono, fu il fatto che l’oro puntualmente acquistato veniva pagato non in rubli e yuan bensì in dollari: gli stessi dollari che, accumulati con la vendita di petrolio, gas naturale e materie prime, costituiscono le riserve di valuta estera dei due paesi.

Come riporta Enghdal in un suo recente articolo:

Ciò che non era chiaro era quanto fosse profonda la strategia che Cina e Russia stavano perseguendo: nonostante le sanzioni e gli atteggiamenti bellicosi da parte di Washington, le due potenze non hanno mai smesso [con l’acquisto di oro] di creare fiducia attorno alle proprie valute.

Quelle che erano semplici utopie di un mondo de-dollarizzato, si sono tramutate nel giro di un paio di settimane nell’incubo più nero del Tesoro a stelle e strisce.

Mentre le amministrazioni americane, quella Obama prima e quella Trump poi, hanno stipulato nuovi accordi miliardari per forniture militari, riversato decine di miliardi di dollari nelle borse delle banche anziché dei consumatori, finanziato interventi militari a discapito dell’ammodernamento delle infrastrutture, imposto sanzioni o trattati commerciali iniqui, Russia e Cina hanno scelto il percorso inverso.

Negli ultimi anni, difatti, hanno intessuto accordi commerciali ed alleanze, al di fuori dei BRICS, tali da riparare  sotto il loro ombrello economico – quel che sarà il futuro sistema monetario globale – ben 3 miliardi di persone tutte residenti in Paesi massimi esportatori di gas naturale e minerali rari, nonché rappresentanti il 42% del PIL mondiale.

Il progetto Nuova Via della Seta (Belt, Silk Road), presentato nel 2013 dalla Cina con l’obbiettivo di costruire vie di collegamento sicure per lo scambio delle merci fra Asia ed Europa, si colloca anch’esso nel mezzo della strategia anti-dollaro ed è così che viene riassunto da Engdhal:

La diplomazia cinese, russa e del blocco euro-asiatico che le segue, sono incentrate sulla realizzazione di corridoi ferroviari ad alta velocità, autostrade, porti, centrali energetiche di vario tipo che, una volta messe assieme, creano un vasto, moderno mercato che eclisserà il potenziale economico delle stagnanti economie occidentali.

L’ultimo tassello, come già anticipato, sono i futures sul petrolio, che costituiscono il carburante grazie al quale tutto questo motore macroeconomico possa cominciare a girare.

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Verso un mondo multipolare

La Cina e la Russia hanno preparato il terreno per diventare le nuove leader del mondo multipolare già da tempo, eventualità che però ha iniziato a materializzarsi concretamente solo a partire dal 2015.

Per riuscirci, come per una buona ricetta, gli ingredienti di cui necessitano sono: una valuta (l’oro), un mercato (la nuova via della seta) e una gigantesca calamita per attirare gli attori esterni dai mercati attuali, dominati da New York e Londra.

Ecco, quei futures in yuan convertibili in oro sono proprio questo: un gigantesco magnete.

Se dovessero aver successo, e lo avranno date le chilometriche premesse fatte, il mercato delle materie prime di Shanghai su cui questo strumento sarà quotato, diventerebbe l’equivalente asiatico di Wall Street e assesterebbe un duro colpo al sistema monetario del petrodollaro.

I futures di Shanghai, buoni come l’oro, diventerebbero il nuovo benchmark mondiale del petrolio e, dato che la Cina – maggior importatrice di petrolio al mondo – si rifiuterebbe di acquistare su mercati diversi da quello di Shanghai, la popolarità di questi strumenti schizzerebbe alle stelle anche fra gli investitori occidentali che, come banderuole al vento, si libererebbero degli inflazionati e svalutati dollari per riempirsi le tasche di redditizi yuan.

Egdhal è tanto d’accordo con questa versione dei fatti, al punto da arrivare a dichiarare:

[l’introduzione di questi futures] potrebbe far ruotare drasticamente l’ago dell’equilibrio geo-politico dall’Atlantico all’Eurasia.

Non solo, nell’aprile 2016 la Cina ha aperto, sempre a Shanghai, un nuovo gold exchange prenotandosi per diventare il prossimo principale centro di scambio d’oro fisico a discapito della LBMA di Londra, al fine di scongiurare ogni tipo di manipolazione dei prezzi.

Inoltre, uno dei più grandi centri di stoccaggio di oro al mondo è stato appena innaugurato nella Zona Speciale di libero scambio di Shenzhen, situata poco più a nord del Pearl River Delta, un’altra zona speciale per cui perfino le più grandi multinazionali si azzuffano per ottenere una licenza di produzione.

Sotto questa nuova luce, interpretare gli ultimi sviluppi in politica estera, diventa molto più semplice.

L’isteria che ruota attorno ai governi siriano e iracheno – o meglio attorno ai loro giacimenti –, il tentato soffocamento dell’economia iraniana – anch’essa dipendente dal petrolio –, la repressione libica, la Nord Corea usata per applicare sanzioni contro la Cina come il Donbass ucraino contro la Russia, il divincolarsi di Ankara dal blocco occidentale, l’improvvisa implosione del Venezuela  – ad oggi maggior esportatore di petrolio al mondo – improvvisamente acquistano senso.

Dal caos che sembra governare questi conflitti, emerge una logica precisa e sconvolgente.

Se su una mappa andassimo a porre una bandierina per ciascuna nazione qui citata, noteremmo che il conflitto è Stati Uniti contro Resto del mondo e si sta consumando in teatri accuratamente scelti, ossia:

  • sui territori in cui dovrà transitare la Nuova Via della Seta,
  • su quelli in prossimità dei principali promotori della prossima rivoluzione monetaria,
  • su quelli di tutti i simpatizzanti del blocco euro-asiatico che siano produttori di petrolio

L’egemonia economico-politica statunitense è agli sgoccioli ed il conto alla rovescia è ufficialmente iniziato.

L’immensa quantità di banconote emesse dalla Federal Reserve ed il dissolversi della fiducia nutrita nei loro confronti, porterà a dei veri maremoti finanziari che metteranno a repentaglio i patrimoni di centinaia di milioni di risparmiatori.

Lo spettacolo sta per cominciare.

Volenti o nolenti, siete tutti invitati.

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6 risposte

  1. Ipotesi: se gli stati uniti hanno comprato con carta tutto l’oro dal ’71 cosa accadrebbe in funzione dell’articolo pubblicato?
    La certezza sarebbe il declino del petrolio difronte alla strapotenza dell’oro che si apprezzerebbe nei confronti di tutte le valute!

  2. Articolo molto interessante, avrei una domanda (scusate l’ eventuale stupidità, ma sono un neofita). Che ruolo avrà il settore energetico (petrolio e gas) nella prossima crisi? Confrontando il grafico dell’ oro con l’ ETF XLE (uno dei principali tra gli energetici) ho notato che il trend è abbastanza simile. É probabile che quando (ed eventualmente se) i metalli partiranno seriamente al rialzo saranno seguiti dagli energetici?

  3. Complimenti all´autore. Una dettagliata analisi geopolitica di alto livello sostenuta da scenari finanziari molto convincenti.

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