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L’oro ha aperto la settimana a $ 1.304,40 e ha chiuso a $ 1.318,60.
Al Comex di New York i contratti futures sull’oro, per consegna giugno, sono quotati a $ 1.318,00. [/panel]
Questa settimana l’oro ha rotto al rialzo la resistenza posta a $ 1.320,00, raggiungendo un massimo a quota $ 1.325,20, ritracciando al ribasso nel finale, sino alla chiusura a $ 1.318,60.
L’oro ha tratto impulso rialzista dalla debolezza dei mercati azionari in generale, ma soprattutto dallo scivolone del Nasdaq (indice dei titoli tecnologici USA), registrato giovedì pomeriggio e dall’arretramento del piu’ indicativo indice Standard & Poor’s 500.
Il lingotto si e’ avvantaggiato anche delle dichiarazioni dei membri del Board della FED, i quali si sono mostrati assai cauti circa eventuali prossime mosse rialziste nella struttura del tasso di sconto.
Le quotazioni del metallo giallo, pero’, continuano a rimanere all’interno del canale posto tra $ 1.275,00 e $ 1.325,00 senza riuscire a indirizzarsi in una direzione precisa.
Avremo bisogno di qualche evento “catalizzatore” per comprendere l’esatto orientamento del metallo giallo; allo stato attuale e’ assai arduo comprenderne l’evoluzione di breve termine.
Riscontro un primo livello di resistenza presso i $ 1.340,00 – una seconda resistenza posta attorno all’area dei $ 1.360,00, un primo supporto in area $ 1.300,00 e un secondo vicino ai $ 1.280,00.
I “tori” hanno riguadagnato il mercato, ma, come dicevo sopra, non sono sicuro se riusciranno a mantenere le posizioni, in quanto le forze “rialziste” e quelle “ribassiste” si bilanciano, equilibrandosi vicendevolmente.
Il “dollar index” rimane tuttora sotto la quota psicologica degli 80 dollari, ma l’oro non riesce ad avvantaggiarsi della debolezza del biglietto verde.
Il “dollar index” deve essere sempre valutato confrontando il suo valore con l’oro, ma soprattutto accostandolo ai volumi di titoli del debito USA, in custodia titoli di riserva presso le Banche Centrali del Pianeta (Custodial Holdings of Treasuries for Foreign Central Banks).
E’ chiaro che, se le Banche Centrali del Pianeta iniziassero a vendere titoli del debito USA, il biglietto verde crollerebbe.
L’ammontare dei titoli del tesoro USA in custodia presso le Banche Centrali, e’ in aumento a livello planetario, ed ha raggiunto un picco proprio questo mese. Da gennaio 2013 era iniziato un trend calante, ma “qualcuno” ha cominciato a “metterci le pezze”. Osserva accuratamente il grafico.
Dal grafico si evince che il biglietto verde sia in una botte di ferro…infatti anche se da gennaio 2013 c’e’ stato un calo nelle custodie, tuttavia le vendite sono state bilanciate dagli acquisti di una banca centrale estera.
In effetti, la questione e’ complessa, ma soprattutto sospetta.
Ti spiego.
Circa il 45% del debito pubblico americano e’ detenuto all’estero. La Cina e’ la maggior creditrice con 1.273 miliardi di titoli: secondo il Giappone con oltre 1.200 miliardi; terzo e’ il… il Belgio, con 310 miliardi di titoli del tesoro USA.
A gennaio 2014 il piccolo Belgio possedeva ben 310 miliardi di titoli del tesoro USA, mentre Russia e Cina cominciavano, dalla fine dello scorso anno, a disfarsi gradualmente dei titoli di stato a stelle e strisce (per finalita’ strategico-politiche).
Si impone una riflessione. E’ possibile che un piccolo Paese come il Belgio, in profonda recessione, con un PIL che supera a malapena i 400 miliardi di dollari all’anno, possa permettersi di acquistare in un anno 125 miliardi di titoli di stato USA? Un minuscolo Stato con una percentuale di debito pubblico/PIL pari al 99% (dati 2012)?
Chi si nasconde dietro il Belgio? Qualche “emissario” o “foglia di fico” della FED, che sta acquistando i titoli di stato USA che le altre banche centrali (soprattutto Russia e Cina) stanno cominciando a liquidare? Una mossa per evitare (o posticipare) la debacle del dollaro USA e occultare il vero stato comatoso della “valuta di riserva globale”?
Ma questo non e’ l’unico “mistero” dell’impenetrabile mondo dell’Alta Finanza. In un precedente articolo, avevo segnalato che dal 2012 gli USA, da esportatori di oro in rottami per riciclo, si erano trasformati improvvisamente, negli ultimi due anni, in importatori netti di oro in rottami. Molto strano.
La cosa ancora piu’ strana e’ che questo oro da riciclo proviene in larga parte (221 tonnellate) da un minuscolo Paese del Sudamerica, il Suriname.
La questione si fa assai intrigante. “Insiders” e “Mani Forti”, all’interno degli USA stanno acquistando oro in rottami (in prima battuta diretti verso apposite fonderie di metalli preziosi, le quali trasformeranno i rottami in lingotti).
Ma, chi sono i destinatari finali di quest’oro? Chi sono gli “Insiders” e le “Mani Forti” che stanno investendo immensi capitali in oro, con il paravento del Suriname? E chi sta vendendo oro a questi “Poteri Forti”, occultandosi dietro il Suriname?
Forse queste “Mani Forti” stanno accumulando oro, senza “attirare l’attenzione” di occhi indiscreti, (soprattutto a sconto! guarda caso nel 2013…il prezzo dell’oro e’ crollato e loro acquistavano i rottami in oro!!!) perche’ sono consci del futuro collasso del dollaro americano, e pertanto si stanno “costruendo” un’assicurazione contro la perdita di valore del biglietto verde? Di cosa sono a conoscenza che alle masse non e’ dato sapere?
UN “CRISTALLO” D’ORO DAL VALORE DI 1,5 MILIONI DI DOLLARI
E’ di dimensioni di una pallina da golf, ma molto piu’ prezioso (e soprattutto…..costoso). Scienziati del Los Alamos National Laboratory – Lujano Neutron Scattering Center, hanno appurato che, una particolare “pepita” d’oro, ritrovata anni fa in Venezuela, e’ in realta’ paragonabile (per forma e dimensione) a un vero e proprio “cristallo” del valore di circa 1,5 milioni di dollari.
La “pepita” d’oro e’ stata analizzata presso i laboratori di Los Alamos per verificare se fosse possibile paragonarla a un “cristallo” oppure a una molto piu’ comune multi-struttura simil-cristallo in oro.
John Rakovan, dell’Universita’ di Miami ha detto che “la struttura atomica di questo cristallo d’oro non e’ mai stata studiata sin d’ora; e’ un’opportunita’ unica”.
Per determinare la struttura interna del nocciolo della pepita, Rakogan e i suoi colleghi hanno utilizzato due sofisticati dispositivi elettronici: un neutrone a singolo cristallo di diffrazione (SCD) – ovvero uno strumento che riesce a determinare la disposizione atomica dei singoli cristalli componenti la pepita, e un altro strumento ad alta pressione interna (HIPPO) il quale consente di misurare le strutture cristalline e l’orientamento dei cristalli all’interno di materiali policristallini.
Queste tecniche non invasive hanno stabilito che il pezzo in questione e’ un rarissimo e inconsueto pezzo di cristallo in oro.